Torino. “Quello che mi impressionò entrando le prime volte in casa Agnelli era la mancanza d’arte. Neppure un quadro, erano dei primitivi simpatici, stravaganti, ma poco coltivati. L’unico che aveva una cultura innata era Giorgio. Lui era troppo consapevole di tutte le cose, loro erano consapevoli solo di essere Agnelli. L’ultimo anno la sua malattia era giunta al limite. Non si alzava, non voleva lavarsi, non mangiava, non faceva niente. Vennero una sera i carabinieri con gli infermieri, lo presero e lo portarono in questa clinica. Gianni e Susanna lo detestavano, era talmente simile alla madre che forse lo invidiavano, lo consideravano anche un pericolo per la loro ufficialità. E poi avevano paura dello schizofrenico in libertà’. Così l’anziana poetessa e pittrice Marta Vio, per un decennio compagna di Giorgio Agnelli, parla del fratello rimosso di Gianni e Umberto Agnelli, morto 36enne in una clinica psichiatrica svizzera nel 1964, nel documentario Il pezzo mancante che il regista Giovanni Piperno presenta nella sezione Festa mobile/Figure nel paesaggio del TFF.
Il film prodotto da Goodtime, in collaborazione con Cinecittà Luce e Rai Cinema, indaga su questa dinastia industriale e sui suoi componenti emarginati o cancellati dalla memoria familiare perché diversi o non omologati. A cominciare da Edoardo, figlio di Gianni Agnelli, morto suicida a 46 anni. Un’impresa non facile quella di raccontare questa famiglia senza il loro decisivo contributo in prima persona. Una famiglia che sulla scena pubblica ha sempre prediletto un certo tono basso, tipico dell’aristocrazia piemontese.
Come nasce questo documentario?
E stata la produttrice Maria Teresa Tringali a chiedermi di realizzare un film su questa famiglia, approfondendone gli aspetti psicologici. Io e Giulio Cederna abbiamo letto molti libri, incontrato numerose persone, sapendo che non avremmo realizzato il classico documentario storico con interviste e repertorio. Del resto non mi interessava la versione ufficiale della famiglia, non perché volessi fare un film scandalistico, e non lo è, ma perché volevo trovare sia qualcosa di emotivamente forte che catturasse lo spettatore, sia qualcuno che oggi facesse un viaggio insieme.
Poi ha cercato di avere la collaborazione della famiglia Agnelli?
Avevamo scritto un percorso, in cui immaginavamo la partecipazione dei familiari, che aveva come cornice Giorgio, il fratello rimosso, cui comunque erano legate persone come la sorella vivente Maria Sole. La vicenda drammatica di Giorgio avrebbe aperto delle finestre su tutti gli altri componenti: Gianni Edoardo, Umberto, Susanna e così via. Di fronte alla chiusura della famiglia e al poco materiale su Giorgio a disposizione, ho riorientato il film su Edoardo, mantenendo così quella chiave decisa fin dall’inizio e comunque non dimenticando Giorgio.
Decisivo è stato allora l’incontro con con Gelasio Gaetani, un amico di Edoardo, il figlio suicida di Gianni Agnelli, che per un periodo è stato imparentato con la famiglia Agnelli attraverso sua moglie Noemi Cinzano Camerana?
Senza Gelasio il film non avrei potuto farlo. Mi ha messo in contatto con gli amici inglesi di Gianni, perché in Italia nessuno era disposto a parlarmi di come fosse veramente lui, e perché mi ha fatto trovare del repertorio inedito su Edoardo.
Non le hanno mai detto gli Agnelli di non fare questo documentario?
No, mai. Ho bussato a diverse porte e ho sperato per un momento che si creasse una collaborazione con la famiglia quando ho parlato con un interlocutore sensibile come Ginevra Elkann che s’occupa della pinacoteca di famiglia e ha studiato cinema. Ma la famiglia per due anni ha chiuso le porte, forse per loro non era quello il momento giusto per apparire, quando le pagine erano dominate dall’insediamento alla Fiat di John Elkann e dalla vicenda legale di Margherita Agnelli sul patrimonio familiare. Dopo due anni e mezzo la famiglia ha però cominciato a diventare collaborativa, con l’utilizzo di un’immagine di Virginia, la madre di Gianni, che cercavo da tempo e con il repertorio della fabbrica Fiat. Del resto Il pezzo mancante è un film affettuoso con loro, li umanizza.
Che cosa rappresenta questo fratello rimosso di cui abbiamo scarse notizie?
E’ il simbolo del prezzo molto alto in termini affettivi, esistenziali e di libertà che questa famiglia ha pagato per mantenere il controllo di un’azienda per più di un secolo, come accaduto per poche altre dinastie industriali europee.
Nessun altro le ha parlato di Giorgio?
Ho trovato grazie a Rosetta Loy un’altra fidanzata vivente di Giorgio, ma avendo già raccolto la testimonianza di Marta Vio sarebbe stata un doppione. Tuttavia il suo ricordo mi ha confermato che Giorgio teneva alla famiglia e soffriva di essere emarginato. La stessa cosa accaduta a Edoardo. Insomma i ribelli di casa Agnelli, nonostante tutto volevano farne parte.
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