È giovane, ha solo 28 anni, Giovanni Davide Maderna. Arrivato a Lione dopo una Laurea in Lettere, inizia a frequentare l’Istituto di Cinema dell’Università Lumière. Nel 1996 conquista la Capitale. Vince il premio Sacher d’oro al Festival di Nanni Moretti per La place, cortometraggio che aveva diretto un anno prima. Moretti non si lascia scappare l’occasione e produce subito il nuovo cortometraggio del regista milanese, Jahilia. Nel 1998 Maderna è a Locarno con Dolce stil novo. Appena un anno dopo arriva al Lido di Venezia e vince il premio Luigi De Laurentiis per la migliore opera prima. Il lungometraggio fortunato è Questo è il giardino. Ora torna a Venezia, ma questa volta in concorso nella sezione Cinema del presente. Il film è L’amore imperfetto, con Enrico Lo Verso e la basca Marta Belasteugui. Storia di una coppia che deve far fronte alla tragedia di un figlio nato anencefalico. La sinossi fa sperare nella positiva evoluzione di un tracciato iniziato con Questo è il giardino.
Nel primo lungometraggio si parla di una coppia in crisi e della scelta solitaria della donna di abortire. Nell”’Amore imperfetto” invece, la coppia, pur tra mille difficoltà, sceglie per la vita del futuro bambino. Dunque tematiche molto simili ma contrarie che fanno pensare a un percorso definito.
C’è un filo conduttore, non volontario però. Si può etichettare quella di Questo è il giardino come una coppia borghese in crisi. Ho raccontato un universo emotivo in implosione. In quel caso mi sono ispirato a cineasti come Antonioni e agli orientali di oggi. Sergio e Angela invece, la coppia del nuovo film, conducono una vita molto più faticosa. Dunque mi sono confrontato con personaggi in cui tutto è di primo livello. Le difficoltà economiche, i guai di Sergio con la giustizia, la malformazione del figlio, tutti questi temi portano a un universo più emotivo, più fisico e meno mentale. Così il film si avvicina di più al genere del melodramma.
Guardando indietro posso dire che Sergio e Angela, a differenza della coppia di musicisti, versano in condizioni più drammatiche e scelgono l’avventura. La vita in loro sgorga molto più forte. Nel primo caso invece i problemi “fittizi” fanno scegliere per un rifiuto delle avversità e della vita. Ma la mia non vuole essere una visione moralistica.
Cambia il modo visivo di costruire queste due storie?
Beh, prima lavoravo in digitale, spesso usavo la macchina a mano. Ora utilizzo il cinemascope, la macchina è pesante. Ci sono molte inquadrature fisse. Però, come nel precedente film, riprendo i personaggi a una media distanza. A dir la verità è un stessa linea che prosegue. Come regista non mi piace precipitare lo spettatore addosso ai personaggi e alle loro storie. Trovo questo tipo di inquadrature un po’ forzate. E un film girato a questo modo genera in me, come spettatore, sempre un certo sospetto, un rifiuto.
Ha cambiato direttore della fotografia. E’ passato da Luca Bigazzi al francese Yves Cape.
Yves ha creato una fotografia straordinaria in L’humanité, un film estremo, bellissimo, passato quasi sotto silenzio nel nostro paese. Ho colto l’opportunità di lavorare con lui e spero di poterlo fare ancora. Nel nostro paese c’è uno standard che tende qualche volta alla banalità. Se si fanno delle inquadrature lunghe si viene guardati quasi male. Il rigore interessa a pochi. Cape invece è capace attraverso un lavoro preciso e rigoroso, di creare una fotografia straordinaria e struggente. L’humanité è un film estremo come tempi, come scelte.
Il produttore invece è sempre lo stesso: Andrea Occhipinti.
Occhipinti è un vero signore, uno dei pochi. D’altro canto non è un esecutivo… Di esperienze produttive pessime ne ho collezionate parecchie. Ho comunque vari progetti che dovrebbero portarmi all’estero, ma niente di definito. A quel punto cercherò di tenere Occhipinti come distributore.
Progetti in Francia?
Sì, è un paese da cui sono molto attratto.
Marta Belaustegui, scelta per il ruolo di Angela a fianco di Enrico Lo Verso, recita per la prima volta in Italia. Come è arrivato a lei?
Il ruolo doveva essere di una spagnola quindi ho fatto un casting a Madrid. Marta era tra i tanti volti femminili a cui ho fatto un provino. Non la conoscevo prima, ma mi ha convinto subito.
Enrico Lo Verso, che nel film è Sergio, in una recente intervista, ha parlato molto bene di Marta.
Marta, come molti attori professionisti, sembra una persona qualunque, di quelle che incontri nella strada. Poi si scopre il volto, e si trova nello sguardo un’energia e un’espressività intensi.
Direbbe lo stesso di Enrico Lo Verso?
Tutti e due sono molto istintivi ma in modo diverso. Enrico è molto fisico. Tra l’altro come attori funzionano in maniera opposta. Lo Verso si può quasi telecomandare. Davo delle indicazioni e lui eseguiva con facilità il gesto esatto che avevo in mente. Marta invece deve essere lasciata libera. Ciò nonostante, entra in sintonia naturale con la regia.
Impressioni sul nuovo Festival di Venezia?
Dai giornali e dalle dichiarazioni di Barbera non sono riuscito a capire le ragioni di questo doppio concorso. Di solito è difficile trovare 20 film di buon livello, 40 mi sembrano tanti. Il mio film è inserito nella sezione Cinema del presente, che significa? E il cinema del passato a Venezia dov’è? Quello del futuro forse è rappresentato dalla sezione Nuovi territori? Sono un po’ scettico, devo dire. Ma aspetto che la Mostra del cinema inizi. Avrò più elementi per capire.
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