GIOVANNI DAVIDE MADERNA


Giovanni Davide Maderna, neppure 30 anni e due lungometraggi alle spalle. Dopo Questo è il giardino, Premio Luigi De Laurentiis per l’opera prima a Venezia 1999, il 12 aprile uscirà nelle sale L’amore imperfetto l’intensa storia di una coppia che decide di portare a termine una gravidanza anche se il figlio è destinato a morte certa.
Interpreti della pellicola, in concorso a Venezia 2001 nella sezione Cinema del Presente, sono Marta Belaustegui, basca con volto da Madonna, e Enrico Lo Verso.
“Bastava guardare negli occhi di Giovanni per capire dove voleva portarmi. È stato un lavoro viscerale” afferma la prima.
Le fa eco Lo Verso. “Su set Maderna ha dimostrato polso e una grande capacità di tenere le redini del gioco. All’inizio non eravamo d’accordo sul modo di costruire il mio personaggio. Abbiamo discusso e alla fine mi sono lasciato condurre come fa uno strumentista con il direttore d’orchestra. Quando ho visto il film l’ho ringraziato perché ho capito che aveva ragione”.

Maderna, perché una pellicola sul dolore, la morte, la nascita, l’amore materno?
Il film è una reazione personale al modo in cui i media hanno trattato una fatto di cronaca di qualche anno fa. Ma forse questa genesi andrebbe dimenticata. Le domande cruciali che mi sono posto sono: “Come cambia la vita quotidiana di due persone quando la malattia e il pensiero della morte del figlio invadono la loro esistenza?” e ancora “La morte è il limite, l’imperfezione inaccettabile della condizione umana?”.

Come hai affrontato la scrittura del film?
Ho raccolto dati in funzione dell’attendibilità del racconto, ma la sceneggiatura è il frutto di un’elaborazione molto intuitiva. Mi interessava dare spazio alla componente primordiale che si esprime nella coppia di protagonisti e anche nell’evocazione del miracolo di Calanda, elemento anacronistico in una vicenda moderna. La componente culturale emerge invece attraverso le figure del medico e del poliziotto, personaggi solo apparentemente secondari, che con le loro parole esplicite, a volte volutamente didascaliche, mi hanno permesso di liberarmi del discorso intellettuale.

Come in “Questo è il giardino”, il tuo primo lungometraggio, al centro della storia c’è una coppia.
Sì. La nascita di un figlio è un modo per scavare nella relazione tra due personaggi che, pur legati da un sentimento forte, sono radicalmente estranei l’uno all’altro. Rispetto alle convenzioni Enrico è molto femminile mentre Marta è molto maschile. Lui incarna la disperazione, il pensiero del suicidio; lei la speranza, la fede nel miracolo. E a un certo punto questi diventano gli elementi centrali della vicenda. Ma alla fine assistiamo a un parziale ribaltamento: per entrambi accade l’inaspettato.

Perché hai scelto Genova come location?
All’inizio avevo pensato a Milano ma poi ho scelto Genova perché il paesaggio della città rispecchia il cuore del film, ovvero la polarità tra l’elemento arcaico e quello moderno, artificiale. Genova vive in una natura invadente, quella del mare e delle colline, che s’intreccia con l’architettura contemporanea.

Nella tua opera prima si sentiva l’eco della cinematografia di Antonioni. Quali sono i tuoi riferimenti per questo film?
I registi che amo di più sono Bresson e Bunüel, sono parte del mio modo di vivere il cinema. Ma sarebbe sbagliato pensarli come referenti diretti de L’amore imperfetto.

autore
03 Aprile 2002

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