GIOVANNI COLUMBU


Il nostro cinema racconta poco la Sardegna e i suoi abitanti, eppure recentemente registi come Enrico Pau con Pesi leggeri, Piero Livi con I dimenticati-Sos Laribiancos e Antonello Grimaldi con Un delitto impossibile hanno riscoperto quei luoghi e la loro gente. Ci prova anche il cinquantenne Giovanni Columbu, all’attivo un’esperienza di programmista-regista alla sede Rai di Cagliari e la realizzazione di programmi d’informazione culturale e docu-fiction. Arcipelaghi, nelle sale da venerdì 23 novembre, è il dramma corale, a metà strada tra l’approfondimento psicologico e il documento sociologico, di una comunità agricola e pastorale del Nuorese dove lo scontro tra il bene e il male assume contorni ambigui. Arcipelaghi, finanziato con l’articolo 8, si è avvalso della troupe di Ermanno Olmi, tra cui il figlio Fabio per la direzione della fotografia, ed è stato fino all’ultimo in lizza per essere incluso nella Settimana della Critica dell’ultima Mostra veneziana.

Columbu, la storia narrata è una storia realmente avvenuta?
Non c’è alcun riferimento a fatti concreti, anche se nella realtà sociale dell’isola sono accadute vicende molto simili, talvolta ancora vive e non risolte. In fondo però vicende analoghe sono avvenute anche altrove, anche se in Sardegna con maggiore frequenza. Non è un caso che l’autrice Maria Giacobbe, scrivendo l’omonimo romanzo, sia ritornata su una storia già abbozzata sollecitata da un caso, in Germania, di una madre che vendica l’omicidio di un figlio.

Ma l’esigenza e l’abitudine di farsi giustizia da sé sono di casa in Sardegna?
Non è solo un comportamento tipico di ambienti sardi e barbaricini. La vendetta per un torto subito, al di là delle convenzioni sociali, appartiene alla dimensione intima dell’individuo. E’ una reazione che in Sardegna si coniuga con figure femminili molto forti. Spesso dietro uomini che si espongono in prima persona ci sono donne dietro di loro che tramano.

Perché questo titolo Arcipelaghi?
Il titolo allude alla molteplicità dei ricordi, una frammentazione che si trasferisce anche nello stile narrativo del film. Del libro mi aveva affascinato, oltre ai personaggi, la struttura narrativa dalla quale in un primo tempo mi sono allontanato, privilegiando una narrazione lineare, per ritornare alla fine a un impianto frammentario.

Gli attori, bravissimi, sono tutti non professionisti. Come mai questa scelta?
Chiunque di noi è un grande attore purché non abbia fatto delle cattive scuole di recitazione. Mi piace lavorare su queste possibilità espressive. Poi come avrebbero potuto degli attori di estrazione urbana fare propri i codici, i valori e i comportamenti del mondo rurale? E’ la stessa scelta che fece Vittorio De Seta con Banditi a Orgosolo. Della Sardegna sono stati sempre lodati gli scenari paesaggistici come una risorsa per il cinema. Trovo invece che questa potenzialità appartenga molto di più agli abitanti dell’isola. In particolare la loro predisposizione a recitare grazie alla tradizione orale ancora viva. I Sardi sono persone capaci di raccontare, recitare e teatralizzare senza inibizioni.

La recitazione in dialetto è stata allora una strada obbligata?
Ho scelto di far parlare gli interpreti nella loro lingua quotidiana. Se avessero parlato in italiano, avrebbero perso la loro identità, addirittura quella sessuale. E poi ho lasciato fare agli attori, perché l’importante è non respingere il non previsto, quanto va al di là delle nostre attese. Si tratta spesso di una risorsa artistica e forse un avvertimento che quanto deciso in precedenza per il film forse non funzionava.

La Sardegna è il suo soggetto preferito?
Visos era un reportage sui sogni dei pastori e degli abitanti delle zone più interne della Sardegna. Era una provocazione, perché ho sempre ritenuto mortificante che il mondo interiore psicologico e onirico fosse patrimonio solo delle culture forti ed egemoni. Ed è in quell’occasione che ho scoperto la capacità dei sardi a drammatizzare, anche raccontando esperienze solitarie come i sogni. Visos ha rappresentato un primo avvicinamento al tema che mi sta a cuore: la percezione interiore della realtà.

autore
22 Novembre 2001

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