Parla 5 lingue, è stato campione di arti marziali e insolito volto occidentale del cinema di Hong Kong. Nel cinema italiano ha esordito nel 1998 con Piccoli maestri di Daniele Luchetti. Poi, Giorgio Pasotti ha interpretato L’ultimo bacio di Gabriele Muccino, e la serie tv Distretto di polizia.
Nel 2004 l’attore bergamasco torna sul grande schermo con due ruoli inusuali per il cinema italiano.
Davide Ferrario l’ha chiamato a vestire i panni di Martino, protagonista di Dopo mezzanotte, piccolo film che ha conquistato il pubblico dell’ultima Berlinale e arriverà in sala il 23 aprile con Medusa.
Eugenio Cappuccio (leggi l’intervista) gli ha affidato il ruolo di un manager vicino ai “microservi” di Douglas Coupland, nel film Volevo solo dormirle addosso sul set fino al 10 aprile.
Raccontaci il pesonaggio di Martino.
Dopo mezzanotte è una dichiarazione d’amore per il cinema nel momento in cui finesce l’era della celluloide e comincia quella del digitale. E’ anche una storia d’amore, una sorta di Jules and Jim con personaggi molto diversi tra loro. Martino ha 25 anni, è goffo e taciturno. A differenza dei suoi coetanei che si aprono al mondo ha deciso di ritirarsi. Diventa il custude notturno della Mole Antonelliana, e dunque del Museo del Cinema, spinto desiderio di estraniarsi più che dall’inclinazione cinéphile. Quel luogo fantastico, diventa il suo regno, e il cinema la via principale di approcciare il mondo.
Tanto che a un certo punto diventa regista…
Si. Con una camera degli anni Venti gira un piccolo film: mette insieme pezzi di vita quotidiana e immagini d’epoca di Torino. Lo mostra a Barbara, la ragazza che trova rifugio alla Mole, per dichiararle il suo amore. Lo offre anche al pubblico in sala che ha la sensazione di vivere una favola e torna alla dimensione del cinema delle origini: l’immagine in movimento come spettacolo.
Che indicazioni ti ha dato Davide Ferrario?
Il punto di riferimento è stato Buster Keaton. Davide mi ha portato molti suoi film. L’interpretazione è giocata sulla corpororeità e le movenze. Ho dovuto imparare a dosare i movimenti per trovare la giusta misura tra aspetto surreale e credibilità del personaggio. La pratica delle arti marziali, da cui ho acquisito un grande controllo sul mio corpo, mi ha molto aiutato.
Poi sei passato sul set di Cappuccio.
In verità la proposta di Eugenio è arrivata 2 anni fa. Dopo L’ultimo bacio mi hanno offerto una serie di copioni tutti uguali. Il ruolo di Marco Pressi mi ha attratto subito perchè anomalo rispetto al cliché del trentenne innamorato e traditore. Dietro l’apparenza del manager spietato ho visto in lui una grande tenerezza. In fondo, Marco Pressi è una vittima di un sistema che lo ha divora.
Per Cappuccio è un samurai postfordista. Per te?
La definizione è appropriata. L’armatura di Marco Pressi sono giacca e cravatta, le sue armi computer e cellulare. L’unico obiettivo è licenziare 25 persone. Il resto della sua vita non ha più importanza: tutte le sue energie sono concentrate sul lavoro. Quando torna a casa è svuotato, il rapporto con la compagna si spezza. In Angelique, donna dalla cultura comunitaria africana, trova una sorta di angelo custode che gli comunica quell’identità di gruppo che gli è estranea.
Come ti sei preparato al ruolo?
Ho frequentato gli uffici di una multinazionale dove ho incontrato il direttore del personale, una deliziosa signora napoletana. 3 mesi prima aveva licenziato 230 lavoratori.
Sul tuo sito hai lanciato il progetto Giorgio Pasotti Musica. Di che si tratta?
Offre a giovani emergenti la possibilità di far ascoltare i loro brani. Loro li inviano, i curatori del sito li mettono on line. In poco tempo sono arrivati 400 cd, soprattutto pop italiano. L’idea è produrre un disco scegliendo i pezzi più scaricati dagli utenti.
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