“L’ambizione del mio film è che tra cinquecento anni la guerra faccia parte del passato dell’uomo, così come è avvenuto con il cannibalismo”. Giorgio Diritti, con la sua opera seconda in Concorso L’uomo che verrà , ha voluto parlarci sia di una pagina terribile di storia italiana che non va dimenticata ma deve restare nella memoria delle giovani generazioni; sia del nostro presente tuttora segnato da conflitti nel mondo dove a soccombere sono i civili, gli inermi, e con loro una vita normale fatta di affetti e soddisfazioni personali.
La Storia, con la esse maiuscola, è quella della rappresaglia senza precedenti che le truppe naziste scatenarono, nell’Italia occupata e con i partigiani impegnati in azioni di guerriglia, nella zona di Monte Sole, sull’Appennino bolognese a fine settembre 1944. Nella strage di Marzabotto, vennero massacrati circa 770 civili, per lo più bambini, donne e anziani e il processo per questo eccidio feroce si è celebrato solo due anni fa a La Spezia.
Ma è evidente anche ne L’uomo che verrà il riferimento ai conflitti in corso di cui gli innocenti sono le prime vittime, e al forte bisogno di pace. Una pace che venga costruita grazie all’educazione – “Tutti noi siamo quello che ci hanno insegnato a essere”, dice un ufficiale nazista nel film – perché non si ripetano i crimini e le violenze.
Protagonista del film è Martina, una bambina, che ha smesso di parlare, figlia di un’umile famiglia contadina che vive sull’Appennino bolognese riunita dal duro lavoro della terra, dal focolare, dallo scorrere delle stagioni. La vita quotidiana di Martina (Greta Zuccheri Montanari) scorre nei nove mesi, che preparano la nascita di un fratellino, accanto alla madre (Maya Sansa), al papà (Claudio Casadio), alla zia (Alba Rohrwacher) e ad altri familiari. Una comunità tranquilla e ingenua cui gli echi della guerra in corso giungono lontani, ma che improvvisamente irrompono proprio il giorno in cui nasce il fratellino di Martina.
Presentato nella sezione New Cinema Network della prima edizione del Festival di Roma, L’uomo che verrà aveva ottenuto la menzione speciale dalla giuria di produttori che valutava i migliori progetti di opere seconde in attesa di finanziamento. Il film è una coproduzione Aranciafilm e Rai Cinema, con il supporto del programma media dell’Unione europea, con la partecipazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna, con il contributo del MiBAC, con il sostegno delle Regioni Toscana e Emilia Romagna, della Toscana Film Commission e della Cineteca di Bologna
Il film è stato preceduto da un lungo lavoro di preparazione e documentazione, in collaborazione con l’Istituto storico per la Resistenza di Bologna, che l’ha visto impegnato in incontri con i sopravvissuti e con la gente dei luoghi che vissero la guerra.
Un apporto importante nel ricostruire la vicenda, perché se la famiglia contadina è totalmente inventata, i suoi personaggi singoli si riferiscono invece a persone vissute. Così come con i sopravvissuti sono stati fondamentali per la dimensione emotiva, con loro abbiamo fatto un percorso di sofferenza, sentendo tuttora la loro angoscia e senso di colpa per essersi allora salvati.
Come mai ha scelto di girare in dialetto, utilizzando i sottotitoli?
Ho scelto di girare in bolognese antico due settimane prima delle riprese. Ricercavo un coinvolgimento emotivo che portasse lo spettatore a entrare nell’epoca: un salto nel tempo e in quel mondo altro, contadino, attraverso una sorta di lingua straniera. Ricordo di aver visto tempo fa La capagira girato in dialetto barese e di aver avuto la sensazione che la sua forza stesse proprio in questa caratteristica.
Quale ricerca iconografica ha fatto?
Abbiamo studiato e analizzato le fotografie dell’epoca conservate alla Cineteca di Bologna, le immagini a colori realizzate dai reporter non ufficiali, cioè i soldati americani, nonché la produzione pittorica dell’ 800 e ‘900 relativa alla campagna.
Nel rappresentare i soldati nazisti c’era il rischio di cadere nello stereotipo?
Sì, l’immagine cinematografica che spesso ricorre è quella del nazista con il cane lupo. I testimoni della strage ci hanno parlato invece di ragazzi giovani, e ciò è ancor più inquietante, che uccidevano come fosse naturale. Si trattava di persone cresciute e formate durante il nazismo, che consideravano gli esseri umani, in particolare gli italiani da loro ritenuti ‘traditori’, come una sottospecie. Per costoro non c’era quasi differenza nell’ammazzare una donna o una mucca, tanto più in una logica bellica.
Lei ci mostra un partigiano che esegue la condanna a morte di un giovane soldato tedesco, perché?
La guerra porta le persone a modificarsi, ad avere dei comportamenti incoerenti rispetto a quello in precedenza affermato. E’ il caso del giovane che inizialmente nel passare ai partigiani chiede di non partecipare a missioni armate e poi ucciderà a freddo il giovane nazista.
I partigiani assistono impotenti alla strage.
Anche qui la ricerca storica è stata attenta. Non dimentichiamo che quel gruppo partigiano non aveva strutturato una strategia difensiva, ed era poco armato. Inoltre non immaginava una strage di quelle dimensioni. I civili del resto si rifugiano nella chiesa, convinti di evitare il rastrellamento grazie alla protezione del prete e che, nonostante la guerra, ci fossero delle regole non scritte. E poi anche i partigiani sono uomini con le loro paure. Ma non cercate un’intenzione revisionista, il revisionismo mi dà fastidio.
I sopravvissuti hanno visto il film?
Non credo che lo vorranno vedere, per loro sarebbe un ulteriore calvario. Del resto il mio lavoro intende soprattutto parlare ai nostri figli e nipoti. Prima dell’uscita in sala, il 29 gennaio con Mikado, sono previste alcune proiezioni in alcuni paesi della Valle del Reno ed è allo studio un progetto riguardante le scuole.
Che cosa risponde a chi come Fabrizio Del Noce ha parlato del mondo del cinema come ‘mantenuti dello Stato’?
Ogni tanto ci sono persone che parlano gratuitamente e dimenticano che la cultura, così come la scuola e l’educazione, consente alla società di evolversi. Non credo ci siano dei mantenuti, piuttosto costoro dovrebbero ricordare le posizioni molto comode che occupano e gli stipendi che hanno.
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