“Gli anniversari piacciono soprattutto agli italiani, come ha dimostrato anche la recente attenzione generale per il quarantennale della morte di Pier Paolo Pasolini”, così Emiliano Morreale, curatore della Cineteca Nazionale, nell’aprire l’incontro che si è svolto alla Sala Trevi della Cineteca martedì 10 novembre. Una tavola rotonda voluta dalla rivista edita da Luce Cinecittà 8 1/2 Numeri, visioni e prospettive del cinema italiano per parlare proprio di “Anniversari”. Così si chiama infatti la sezione del magazine che analizza un film a cinquant’anni di distanza. Tra questi Non son degno di te di Ettore Maria Fizzarotti (che comparirà sul prossimo numero, quello di dicembre 2015), West & Soda di Bruno Bozzetto e soprattutto I pugni in tasca di Marco Bellocchio, titolo che è rimasto emblema del 1965 anche perché è stato uno degli esordi più riusciti e forti del cinema italiano. “Il ’64 – ha proseguito Morreale – è stato un anno di massimi incassi, con 800 milioni di biglietti venduti, il ’65 viceversa è un anno di svolta. I pugni in tasca chiude la serie dei grandi esordi, quelli di Olmi, Bava, Pasolini, dei Taviani, di Leone e Bertolucci, e segna in qualche modo l’inizio della crisi”.
Un film controverso, ricco, aperto a molteplici interpretazioni, come si vede anche rileggendo le recensioni dell’epoca, molte di intellettuali illustri tra cui Alberto Moravia e Grazia Cherchi. Per Gianni Canova, direttore della rivista 8 1/2, “tutti i recensori dell’epoca sottolineano la novità dello stile di Bellocchio e fanno spesso paragoni letterari, parlando di Camus o Dostoevskij, e dicendo tutto e il contrario di tutto. In sostanza è un film inafferrabile”. Poi rivela un curioso punto di contatto tra I pugni in tasca e i musicarelli in voga alla metà degli anni ’60. “Bellocchio avrebbe voluto Gianni Morandi per il personaggio di Ale, che poi fu affidato, come sappiamo, a Lou Castel”. Chiarisce Anton Giulio Mancino, il critico che su 8 1/2 di maggio 2015 ha analizzato il film di Bellocchio e curato un’ampia intervista al regista piacentino: “La prima opzione per il personaggio di Ale era proprio Marco Bellocchio stesso, ma fu sconsigliato. Poi pensò in effetti a Gianni Morandi che avrebbe voluto farlo, ma si temeva che la sua immagine pubblica sarebbe entrata in contraddizione. Però – suggerisce – oggi Morandi potrebbe recitare in un film di Bellocchio”. Mancino racconta anche delle rivalità che nacquero attorno al giovane Bellocchio, all’epoca ventiseienne. “Pasolini fece una cattiveria dicendo che Bertolucci faceva un cinema di poesia, mentre lui un cinema di prosa. In realtà aveva torto, ma I pugni in tasca non deve essere monumentalizzato. E’ davvero un film inafferrabile, che non vuole essere rinchiuso in categorie. Come il personaggio di Ale anche il film si definisce per ciò che non è”. E smentisce che sia un film sul ’68, come spesso nella vulgata si dice. “Semmai su quello che arriverà dopo il ’68, la lotta armata, perché Ale prefigura in qualche modo il terrorismo”.
Interverranno il regista e scrittore Pupi Avati; monsignor Dario Edoardo Viganò, sacerdote ambrosiano, vicecancelliere della Pontificia accademia delle scienze e delle scienze sociali e presidente della Fondazione Mac; Chiara Sbarigia, presidente di Cinecittà e Gianluca della Maggiore, professore presso l’Università telematica internazionale Uninettuno e direttore del Cast
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