Gianni Massaro


“Il mio sogno segreto è arrivare qui con una latta di benzina e bruciare tutto”, dice Gianni Massaro dall’altro lato di una scrivania immensa letteralmente sommersa di carte. Alle sue spalle, nello studio romano, la parete è tappezzata di foto storiche: Zeffirelli, Fellini, Pier Paolo Pasolini, Ugo Tognazzi, Marco Ferreri, Ornella Muti, Gillo Pontecorvo, Sergio Leone, Angelo Rizzoli, Goffredo Lombardo, Alberto Bevilacqua, Doris Durante, un disegno di Maselli e un paio di suo figlio Giannino, quando aveva sei anni. C’è un pezzo importante di storia del cinema e il ricordo di tanti processi per la libertà d’espressione: Alain Robbe-Grillet con Spostamenti progressivi del piacere, il Decameron di Pasolini, Grazie zia di Samperi…
C’è una foto che preferisce alle altre? “No, sono tutti momenti importanti, di vita e di lavoro. Due cose che per me, per fortuna, vanno insieme”.
Gianni Massaro, l’avvocato, è il nuovo presidente dell’Anica, dopo aver presieduto per circa otto anni l’Unione produttori e ancora presiede, tra l’altro, il fondo istituzionale Eurimages del Consiglio d’Europa. Agenda fittissima. Telefonate ininterrotte: Aurelio, Fulvio, Paolo… è un momento particolare per la categoria, difficile ma anche entusiasmante. Mentre un tycoon come Cecchi Gori finisce sotto inchiesta, ci sono nuove realtà imprenditoriali che si affermano, dalla Palma d’oro a Moretti-Barbagallo ai trionfi di Muccino-Procacci.

Avvocato, in che situazione ha trovato l’Anica?
Da cambiare. La più importante associazione di settore dopo l’americana Mpaa, ha un grande prestigio esterno ma notevoli problemi interni principalmente dovuti al mutato assetto della comunicazione nel quadro della multimedialità. Per la categoria è un momento delicato.

Il primo compito?
Riunire tutte le forze del cinema che sono ancora fuori dall’Anica, e dare una struttura nuova che rifletta il contesto cambiato.

Qualcuno – per esempio Sodano alle Giornate professionali – invoca un cambiamento più radicale: addirittura lo scioglimento della associazione.
Non condivido la posizione di Sodano, che nel formularla era libero dai vincoli profondi, anche sentimentali, che mi hanno legato tutta la vita ed inscindibilmente mi legano all’Anica. Sodano ha vissuto una vita prestigiosa ma in trincee diverse. Comunque si tratta chiaramente di una provocazione tipica della sua personalità creativa.

Come pensa di riunificare la categoria?
Bisogna riaffermare quello che si è, con forza e con dignità, nel rispetto di quella propria e altrui, nella coerenza con il grande passato dell’Anica. Perché la incomparabile forza del cinema deriva dalla sua peculiarità, come industria creativa, che coniuga materiale e immateriale, presente e futuro. Industria atipica, dai rischi altissimi, dove il ritorno può anche incolpevolmente essere zero e dove l’autore e il produttore sono uniti da un vincolo di creatività.

Cosa chiede al nuovo governo?
Vorrei che si rendesse conto di questa peculiarità. E che la ponesse alla base di ogni propria impostazione del settore: che di conseguenza disciplinasse in un nuovo contesto i meccanismi di supporto, incentivazione e finanziamento della produzione, della distribuzione e delle industrie tecniche di settore, escludendo naturalmente l’assistenzialismo; e che coordinasse il recepimento della normativa europea del settore e, con urgenza, in tale quadro, la riforma del diritto d’autore in tutte le sue manifestazioni, visto che è cambiato nelle premesse e nelle finalità, essendo nato per difendere l’autore come parte debole, nei confronti dell’editore, mentre oggi produttore e autore sono nella stessa barca esposti all’imperversare anche deviato della tecnologia e alla demagogia. Problema ancor più grave in Italia, dove non esiste una forte industria cinematografica.

L’immagine del cinema italiano è sempre più importante, anche all’estero…
Il cinema ci ha portato fuori dalla crisi del dopoguerra, ci ha accreditato come “italiani brava gente”; il film di Fellini ha fatto della “dolce vita” un fenomeno di costume riconosciuto da tutti. Non la Fiat, absit iniuria verbis, ma il cinema per primo ha accreditato l’immagine dell’Italia negli Stati Uniti, mentre nei paesi dell’Est si entrava, per lunghi anni, ai tempi delle guerre calde e fredde e degli aerei spia, solo grazie al nostro grande cinema.

Ed i risultati economici?
I ritorni economici ci sono stati e ci sono, e ancor più rilevanti se si tiene conto del “made in Italy” veicolato dal cinema. Naturalmente vi sono periodi di crisi, come in ogni attività: nel cinema, per fortuna, non sono mai definitivi. Vanno evidenziate in merito le grandi responsabilità del potere politico e amministrativo. Ma comunque i ritorni in questo campo non vanno esaminati con l’occhialetto del ragioniere, perché il cinema è trasversale… sarebbe come chiedersi qual è il ritorno economico della celebrazione delle Messe per la Chiesa? Non avrebbe senso calcolare il prezzo delle particole o delle candele… per poi tirare il bilancio. Il cinema è una realtà di interesse nazionale con finalità anche immateriali Cambiano i regimi, muta la società, ma il cinema resta vitale e comunque fonte di risorse sotto ogni profilo. Oltre che insostituibile ai fini del progresso culturale e sociale nazionale.

Cosa risponde a chi accusa il cinema di essere di sinistra?
Per me vi è un uso improprio della parola “sinistra”. Per me il cinema è fattore di progresso e in tal senso “progressista”, se si vuole. Lo vado dicendo da decenni, e oggi mi sarebbe facile trovare consensi soprattutto tra coloro che allora non condividevano le mie affermazioni: è progressista la destra, naturalmente quella intellettuale, sociale e illuminata.

Il cinema italiano, dicevamo, sta vivendo una stagione molto positiva. Cosa si può fare per incrementare questo trend?
Anzitutto evitare che il potere politico lo intralci e vanifichi. Gli imprenditori, dal canto loro, devono provare di nuovo il brivido del rischio, perché nessun sostegno può sostituire il loro impegno; gli autori devono tornare a pensare in grande e rivolgersi al pubblico più che a se stessi. Il che non significa che l’autore non debba scavare dentro di sé, come dimostrano i successi di Benigni, Moretti e Muccino, registi non certo appiattiti sul mercato.

E le istituzioni?
L’ho già detto: devono eliminare lacci e laccioli che impediscono lo sviluppo della produzione e determinare le condizioni più idonee per la produzione anche con sistemi di defiscalizzazione. Non dico niente di nuovo: in Germania, in Canada, il tax shelter è già praticato da decenni. Sul piano del metodo, le istituzioni devono mantenere sempre vivo il dialogo, il confronto, la verifica. Il problema del metodo in questo settore diventa sostanza. Per decenni il cinema ha subito esperimenti e iniziazioni di ogni genere. Per fretta, per urgenza politica, per improvvisazione presuntuosa, per disinformazione e così via, si è finito per vanificare o addirittura omettere le consultazioni di settore. Oggi il cinema non è in grado di aspettare il fallimento di nuovi esperimenti. Grandissima, perciò, l’aspettativa nei confronti delle nuove attività di settore. Conosco il ministro Urbani e lo stimo molto, così come conosco gli amici sottosegretari Nicola Bono e Vittorio Sgarbi, che ugualmente stimo. Ma chi è l’interlocutore politico? Questo è l’interrogativo che mi preoccupa.

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30 Luglio 2001

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