Il suo nome potrebbe non essere tanto conosciuto eppure tutti almeno una volta hanno visto i lavori di Gianluigi Toccafondo, artista e disegnatore sammarinese che nella sua produzione di corti annovera anche la sigla della Fandango. Ed è proprio grazie al fondatore della Fandango, Domenico Procacci, che Toccafondo riesce a realizzare alcune pellicole come regista.
La collaborazione, fruttuosa per entrambi, inizia nel ’96-97, quando Fandango sta coproducendo Una vita al rovescio, del regista svizzero Rolando Colla. Per la pellicola servivano delle animazioni da utilizzare nelle scene oniriche e venne fuori il nome di Toccafondo. Il film andò male e l’unica cosa che rimase di quell’esperienza negativa fu il rapporto di collaborazione tra Toccafondo e la Fandango. Di lì a poco infatti l’artista inventò per la casa di produzione un codino da mettere in testa a tutte le pellicole: una sigla di 9 secondi in cui i piedi di due ballerini volano sui colori accompagnati da un ritmo da balera. Poi, nel ’99, iniziò a confezionare le copertine dei libri editi dalla neonata casa editrice Fandango.
Una collaborazione che si è rivelata estremamente fortunata per entrambe le parti, come precisano gli stessi Procacci e Toccafondo durante una serata in onore dell’artista, tenutasi all’Accademia di Francia di Roma. Un rapporto quasi simbiotico tanto che Procacci, scherzando, ammette di essere pronto a cessare completamente ogni tipo di attività nel momento in cui l’artista volesse concludere quest’avventura. E le battute non finiscono qua: Toccafondo rincara la dose e racconta che l’idea della sigla per la Fandango nasce dall’amore di Procacci per l’omonimo film, ma soprattutto dalle sue velleità di ballerino: “Quando la inventai, Domenico aveva appena ricevuto una grossa delusione. Era arrivato in una finale di Rock and Roll acrobatico ma la sua compagna si fece male e vennero squalificati. Ho cercato di vendicare la sua disfatta”.
Nonostante le apparenze goliardiche, il lavoro di Toccafondo è serissimo. Insieme alla produzione di corti che va dal 1989 al 2004 tra cui spiccano l’omaggio a Pier Paolo Pasolini con Essere morti o essere vivi è la stessa cosa e la storia noir La piccola Russia, vanno annoverate anche la sigla della Biennale di Venezia 1999, quella per la Cineteca di Bologna, ma anche la campagna pubblicitaria della Sambuca Molinari e la sigla del programma satirico “Tunnel”.
Come mai da pittore è diventato anche regista?
Ho sempre visto i disegni cambiare, prendere vita, fin da piccolo quando osservavo mio padre che lavorava. Era ceramista.
Il maiale, i ritmi da balera e i numeri sono elementi che ricorrono spesso nei suoi lavori, perché?
Sono quasi sempre legati alle mie origini, una vita spesa tra l’Emilia Romagna e le Marche. Il maiale è un animale che mi è sempre piaciuto molto. Una bomba rosa. La musica è quella tipica delle mie parti, mentre i numeri sono stati dapprima un caso, sbagliai inquadratura, poi capii che potevano diventare un elemento ansiogeno e li ho riutilizzati nel tempo.
Come le è venuta l’idea di allungare le figure?
Lavorando su delle foto di Buster Keaton. Prendevo dei piani americani o dei primi piani e aggiungevo arti che mancavano e altri particolari.
Ha mai pensato a lavorare con i bambini?
Sì certo. In passato sono anche stato insegnante all’Istituto d’Arte di Urbino. Ma se fai il docente non puoi dedicarti a nient’altro. A fare illustrazioni per libri invece non ci penso proprio. Detesto l’attuale mercato editoriale per i piccoli. Ai bambini dovresti parlare di cose drammatiche, adorano i mostri… Invece tutto quello che gira sono libri rosa con i pupazzetti: ovvero libri che danno un alibi ai genitori per leggerseli.
Su cosa preferisce lavorare: sigle, corti o magari futuri lungometraggi?
Le sigle sono sempre una bella esperienza perché quando me le commissionano di solito mi danno anche delle idee, materiale da seguire e soprattutto persone con cui collaborare. Ai corti sono affezionato perché per realizzarli ci ho messo molto: all’inizio le gallerie milanesi non ne volevano sapere. Ai film non ci penso proprio. In 15 anni di attività ho girato 40 minuti. Magari tra altri 15 riesco a fare di più.
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