Gianluca Tavarelli


È stato di sicuro penalizzato dall’esclusione dalla Mostra di Venezia, Qui non è il paradiso, tratto da un fatto di cronaca accaduto a Torino nel giugno del ’96. Perché si tratta di un film difficile, di un genere non ben definito tra commedia, film poliziesco, drammatico, giallo. Un lancio sui media avrebbe aiutato a farlo conoscere. Peccato che al direttore Alberto Barbera non sia piaciuto abbastanza, perché questo terzo film di Gianluca Maria Tavarelli, scritto con Leonardo Fasoli, non ha niente da invidiare alla Lingua del santo di Mazzacurati (in concorso alla Mostra) e merita senz’altro attenzione.
Il film racconta la vita di Renato Sapienza (Fabrizio Gifuni), impiegato postale separato dalla moglie, e del suo migliore amico Walter (Valerio Binasco), che decidono di compiere un gesto di riscatto da una vita sempre uguale, rapinando il furgone portavalori delle poste e cercando di scappare in Costarica. Ma nelle sale il film, che a ottobre sarà al festival di Annecy, non sta andando benissimo. “A parte a Torino – precisa il regista – dove l’evento ebbe una vasta eco sui giornali e suscitò molta curiosità”.
Dal film non si capisce che si tratta di un fatto di cronaca. Perché?
Ho preferito non dichiararlo, non aveva senso. Non ho voluto fare la ricostruzione di un evento. Questo non è come I cento passi, che ripercorre le vicende di Impastato o Placido Rizzotto sulla storia di un sindacalista. Un piccolo fatto di cronaca mi è servito da spunto per dare uno spaccato dell’Italia.
Che tipo di Italia?
Abbiamo pensato di descrivere l’Italia del ceto medio, dei lavoratori dipendenti, insoddisfatti, che sognano di fuggire dalla quotidianità, dai giorni tutti uguali, bypassandoli con la vincita cospicua o il grande colpo. È un mondo molto quotidiano, né di eroi né di veri banditi.
È lo stesso spirito con cui ha trattato l’intreccio del suo precedente “Un amore”?
Anche in quel caso si trattava di personaggi comuni, con passioni non diverse dalle nostre. Raccontiamo come affronta la vita la maggior parte della gente.
Con Gifuni il rapporto professionale si può considerare consolidato?
È un attore che sta crescendo molto. A me piace, è in grado di trasformarsi, di essere sempre diverso. Nel film svolge un ruolo difficile, di un uomo che nella vita recita. Quindi sorride, scherza, e non è solo malinconico o drammatico.
I responsabili del “colpo” sono stati acciuffati? E hanno saputo del film?
Li hanno presi e sono in carcere. Se sappiano del film non so dirlo. Noi lo abbiamo girato in posti diversi da quelli in cui si sono svolti i fatti. Non volevamo coinvolgere la gente, già tempestata dalla stampa all’epoca.
Ma se “Qui non è il paradiso”, il paradiso dov’è, esiste?
Il paradiso nel film è sempre nei posti dove non si è. Che si tratti di Torino o del Costarica. Non è dove si vive, ma nei sogni, nei posti che si è in grado di immaginare. Il paradiso è uno spazio mentale, quello spazio tra il pensare a un posto e l’andarci. Non c’è un luogo dove stare bene. La felicità non esiste, o esiste dentro se stessi, nelle cose che si vivono giorno per giorno, per chi è capace di sognare. Manzo (un altro impiegato che viene coinvolto nella rapina, interpretato da Adriano Pappalardo, ndr) è un gretto, perché pensa soltanto ad accumulare soldi e non sa sognare. Chi sa fantasticare può rinnovare i propri sogni trovando sempre un’isola all’orizzonte.
Questo nel film. E per Tavarelli?
Per Tavarelli anche.

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29 Settembre 2000

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