“Vengo da Trasacco, un paesino di 5.956 anime in provincia dell’Aquila. Erano 5.959 prima che mio padre morisse e io e mia madre ce ne andassimo”, così la giovane Genny (Nicole Grimaudo) parla di sé a Vince. Lui, a sua volta, viene da Bussi, un paese ai piedi dell’Appennino abruzzese che guarda verso Pescara, la grande città.
Genny e Vince sono due dei quattro personaggi che animano la storia di Liberi, quarto film di Gianluca Maria Tavarelli.
Bussi è il luogo dove si consumano le vicende della famiglia di Vince. Il padre, Cenzo, operaio chimico per trent’anni alla Montedison, perde in un sol colpo il lavoro e la moglie. Vince, il figlio, perde la ragazza, ma ne incontrerà un’altra, Genny. Tutti vivono nell’atmosfera dilatata del piccolo centro, quell’ora e per sempre che frena qualsiasi desiderio di cambiamento.
“La libertà di cui si parla è sia sociale, quando tocca il problema della disoccupazione, che individuale – racconta il regista – Si tratta di una doppia storia d’amore dove ognuno perde qualcosa e tenta di riconquistarlo. Cenzo, non ritroverà né il lavoro né la moglie ma acquisterà la capacità di capire cosa fare per migliorare la sua vita”.
Il film, prodotto da Domenico Procacci per Fandango in collaborazione con Medusa, è passato a Venezia nella sezione Controcorrente. Le musiche originali sono di Vinicio Capossela.
Il soggetto di “Liberi” è stato ideato da uno degli allievi di Francesco Bruni, Angelo Carbone.
Angelo, appena 25enne, aveva partecipato al Premio Solinas l’anno in cui ero nella giuria. Dopo aver letto il soggetto ho pensato che poteva essere il mio prossimo film. I personaggi sono molto affascinanti e molto veri. Angelo ha lavorato con me e Leonardo Fasoli alla sceneggiatura. E Procacci ci ha creduto.
Dunque esistono giovani talenti che producono storie?
Sono stato per due anni giurato del Solinas. Nonostante la mia breve esperienza, vedo ogni anno come minimo 3 o 4 soggetti molto belli da cui trarre delle sceneggiature forti. C’è un bacino di talenti, il problema arriva dopo, quando si trasforma il soggetto in sceneggiatura. Manca il mestiere ma non le idee. Angelo Carbone, dopo l’esperienza fatta con me e Leonardo, sarà un nuovo autore italiano.
La storia sembra molto diversa dai suoi precedenti film.
Solo esteriormente. Sotto il profilo del contenuto, c’è invece una continuità. Sono mondi diversi solo in apparenza. Racconto la difficoltà di doversi ricostruire una vita a cinquant’anni, lo sfasciarsi di una famiglia, e poi racconto i vent’anni, la necessità per un ragazzo di costruirsi una vita. Vince andrà a Pescara, si inserirà in città e maturerà. Una narrazione lineare che segue il tempo di un’estate. Poi la voce fuori campo accelera i tempi, dilatandoli, fino a un anno.
Dove avete girato?
A Pescara, a Campo Imperatore nel Parco Nazionale del Gran Sasso, a Bussi e ora le ultime scene a Roma.
Da “Qui non è il paradiso” i suoi film hanno avuto fortuna critica ma non altrettanta al botteghino. Oggi come si rapporta con il suo cinema?
Faccio film continuando a sperare che funzionino e piacciano al pubblico. Quando mi va male, incasso il colpo. Per parafrasare il titolo del mio film, mi riavvicino in modo libero alle mie nuove avventure. Come quando inizi una nuova storia d’amore: non stai a guardare se la precedente è andata male.
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