Resistenza? Sì, ma cinematografica. Alias, I nostri anni di Daniele Gaglianone nella Quinzaine des réalisateurs di Cannes 2001. Una bella soddisfazione per questo regista di corti all’opera prima nel lungo (leggi l’intervista di Tamtam) e per il suo produttore e distributore, Gianluca Arcopinto. Che rivendica con orgoglio la fiducia data a un’opera su cui nessuno ha avuto il coraggio di rischiare.
“I nostri anni” alla Quinzaine. Che effetto fa?
Sono molto, molto contento, per Daniele Gaglianone e per me, perché quando un film così piccolo partecipa a un festival importante è una nota di merito anche per il produttore. Vincere la Caméra d’or sarebbe splendido, ma più concretamente, spero in qualche vendita estera. L’ho prodotto da solo, a parte una prevendita a Tele+, perché I nostri anni è stato bocciato da tutti, anche ai finanziamenti all’opera prima. Per la Commissione era un film antico, retorico, che non riusciva a raccontare quello che voleva. Se I nostri anni a Cannes non funzionerà, mi ritroverò con i diritti in mano e qualche debito in più. Succede.
Com’è nato il rapporto con Gaglianone?
Frequentando i festival. Ho conosciuto prima i suoi cortometraggi, poi lui, e per un paio d’anni l’ho inseguito, chiedendogli di fare qualcosa insieme. Non è strano che io abbia deciso di puntare su Daniele, ma che il mondo del cinema italiano – commissari, produttori, registi, critici – non si sia mai accorto di Gaglianone, che è uno che ha fatto trenta corti. Io al mondo del corto sono attento, seguo i festival dedicati, li vedo, li produco. Certo, non è detto che chi sa fare il corto sappia fare anche il lungo, e nemmeno che il corto vada fatto per forza, ma Tavarelli e Zanasi sono venuti da lì.
Quando e dove uscirà il film?
In prima battuta a Milano e Torino, l’11 o il 12 maggio, e poi a Roma. Con Daniele abbiamo deciso di non uscire a cavallo del 25 aprile, perché il film non venisse letto in una chiave solo politica, legata alla Resistenza. Anche se i protagonisti sono due vecchi partigiani e sicuramente in noi c’è l’orgoglio di continuare a parlare di temi che oggi per qualcuno sono scomodi. Per la Liberazione faremo qualche proiezione in provincia, in Piemonte, Lombardia e Toscana, ma perché ci è stato chiesto. Invece, abbiamo fatto degli screen test in delle piccole città, e la reazione della sala è stata migliore di quanto mi aspettassi. Ne solo felice, perché I nostri anni è il mio genere di cinema, quello che produco ormai da anni e per cui sono diventato un punto di riferimento: film magari per pochi, ma con una qualche visibilità.
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