Di opere prime è uno che se ne intende: su 25 film che ha prodotto ben 18 erano esordi assoluti. Ovvio dunque dare la parola sull’argomento a Gianluca Arcopinto, produttore e leader della Pablo, quattro anni di attività all’insegna di un cinema antagonista e vivace, spesso necessario. Nel suo futuro immediato non si smentisce: al prossimo festival di Torino, al via dal 15 novembre, porta, guarda caso, due opere prime, Cecilia di Antonio Morabito e Giravolte di Carola Spadoni, mentre in lavorazione c’è Piovono mucche di Luca Vendruscolo. Ma opera prima è anche Incantesimo napoletano, film d’esordio dei due cortisti Luca Miniero e Paolo Genovese, che vederemo nelle sale. Confessa di essere particolarmente affezionato a Portami via Tavarelli e orgoglioso di Nella mischia di Zanasi, molto contento di fare il talent scout del cinema italiano.
Arcopinto, si direbbe che sia lei lo specialista del settore: coincidenza o particolare interesse per gli esordienti?
A volte, anche non volendo, ci si ritaglia un ruolo preciso e questo sembra essere il mio. Mi piace e sono molto felice di farlo, sia quando il film va bene sia quando i risultati non sono perfetti. Per chi fa il produttore credo sia un dovere dare ascolto a chi vuole fare il suo primo film.
In base a cosa sceglie i progetti, le storie, i registi?
Tendo a lavorare con persone che conosco personalmente, magari perché sono stati miei ex allievi alla Scuola nazionale di cinema, o di cui ho visto qualche lavoro, dei corti per esempio. Giovani registi che mi hanno colpito umanamente o per il loro stile. Mi piacciono storie anche piccole dove rintraccio una unicità, una forte ragione di esistere, pezzi unici che vale la pena di fare e poi di andare a vedere, ma la sceneggiatura non è l’unica cosa. Dev’esserci qualcosa di fortemente emotivo a colpirmi e a convincermi, a dispetto delle carenze strutturali che pure possono presentarsi.
E cosa vuol dire esattamente fare un’opera prima? Come si lavora sul set con un esordiente che sta realizzando il suo film numero uno?
Mi piace rischiare anche sul set. Sono dell’idea che il regista deve essere messo nelle condizioni di fare il suo film e scelgo in genere collaboratori commisurati alla sua esperienza. Spesso abbiamo dunque un regista esordiente con operatori e capi reparto pure esordienti. Mi sembra più corretto, anche se il contrario mi darebbe più garanzie di qualità e rispetto dei tempi.
Cosa ci racconta i tre film di cui si sta occupando, “Incantesimo napoletano”, “Giravolte” e “Cecilia”?
Incantesimo napoletano nasce dall’incontro con i due registi, Miniero e Genovese, a “Visioni italiane”, il festival di corti dove premiai la versione breve di questo film. In virtù di quel premio hanno girato un altro corto, Piccole cose di valore non quantificabile, prodotto da me, e ora eccoci al lungometraggio. Che narra in flashback di una bambina che oggi ha 80 anni, nata a Napoli ma misteriosamente “affetta” da una parlata milanese. E’ una commedia molto comica, divertente, con un grande cast di attori napoletani, da Marina Confalone e Gianni Ferreri, i genitori, a Tonino Taiuti. Giravolte di Carola Spadoni, anche lei conosciuta a “Visioni italiane”, è invece uno spaccato di vita romana in tre episodi. Un film con una storia tormentata e tre anni di gestazione, che ora suona quasi come un omaggio a Victor Cavallo, protagonista assoluto, morto ormai da un anno. Cecilia, infine, è il proseguimento del corto che Antonio Morabito presentò a Torino con questo stesso titolo. Un film surreale, con Pamela Villoresi in un ruolo decisamente comico, su una adolescente che lascia la sua famiglia e scatena una guerra.
La forte presenza di opere prime nelle sale, in particolare negli ultimi mesi, è il segnale di cambiamenti e novità nella produzione e nella distribuzione del cinema italiano?
Non parlerei né di cambiamenti né di novità. Anzi, il mercato è sempre più fermo e preoccupante. E’ successo che grazie ad alcune opere prime che hanno avuto un certo successo di critica e/o di pubblico, che hanno vinto vari premi, penso per esempio al nostro I nostri anni o a Tornando a casa, è ora più facile uscire nelle sale e confrontarsi con il pubblico, magari anche con buoni risultati di botteghino come Santa Maradona. C’è meno diffidenza, dunque, ma niente, purtroppo, è cambiato: i meccanismi di finanziamento sono sempre gli stessi, la Rai compra ormai solo opere finite, Tele+ e Stream sono ferme. La situazione del mercato, in realtà, è grave.
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