“Le risorse statali all’industria culturale non vanno ridotte ma distribuite in maniera diversa”. Parla l’On. Giancarlo Innocenzi, sottosegretario al Ministero delle comunicazioni, ex coordinatore regionale di Forza Italia per il Trentino Alto-Adige.
Veronese di nascita, ha un passato professionale legato al mondo del cinema. Direttore dei servizi giornalistici di Italia 1, Canale 5 e Retequattro, nel 1988 è diventato amministratore delegato della Titanus-Acqua Marcia. Con quel marchio ha distribuito Mission di Roland Joffé, prodotto dall’italiano Fernando Ghia e partner anglo-americani. Poi, un accordo con la Lorimar e in Italia arrivano Made in heaven di Alan Rudolph, Short circuit, favola sul mondo dei robot diretta da John Badham, e Oci Ciornie di Nikita Michalkov con Marcello Mastroianni. Inoltre, ha prodotto la commedia italiana Fiori di zucca di Stefano Pomilia con Massimo Ciavarro e Marina Suma. Lo abbiamo incontrato nel suo ufficio ministeriale di Largo di Brazzà, nella capitale.
E’ cambiato qualcosa nel cinema italiano dell’ultima stagione?
Il cinema italiano vive un paradosso. Da una parte c’è una discreta effervescenza creativa con giovani autori e produttori, dall’altra il botteghino crolla paurosamente. Siamo passati da una situazione in cui c’erano figure storiche di produttori a una di semplici “esecutivi”. Si è persa la cultura del rischio imprenditoriale. A fronte di una professionalità diffusa in termini di creatività e maestranze, si registra la mancanza di un tessuto industriale, assente anche nella fiction. Gli altri paesi europei hanno affrontato questo problema e lo hanno risolto. In Irlanda il cinema ha fatto addirittura da traino ad una ripresa dell’imprenditoria, in Spagna c’è un’effervescenza così come in Germania. In Italia si tratta di fare delle scelte importanti e radicali.
Lei stesso nei giorni scorsi ha parlato di cinema come ‘industria culturale’. Vuole spiegare questa definizione?
Il cinema è un’industria, pur culturale, ma un’industria, quindi vanno create tutte le condizioni per valorizzarla. Un mio amico americano un giorno mi ha mandato una nota divertente: “lo show business deve trasformarsi in uno shoe business“. L’industria italiana delle scarpe produce risorse, è esportata in tutto il mondo con un intervento statale inesistente. Nello show business invece lo stato interviene al 50-70% e non c’è nessuna ricaduta. Le risorse pubbliche non vanno ridotte ma distribuite in maniera tale che producano la catena del valore e siano un’opportunità per coloro che vogliono fare questo mestiere, accettando anche il proprio rischio personale che deve essere pari a quello dello Stato. Se lo Stato mette il 50%, l’imprenditore deve mettere il 50%. Il Ministro Urbani ha ottenuto la delega dal parlamento per la riforma della legge cinema e oggi è in fase avanzata una proposta di legge sul settore dell’audiovisivo. Stiamo considerando la possibilità di aprire il mercato a capitali privati non del settore. Avremo una Tremonti per lo spettacolo e una tax shelter allargata.
Il consenso del pubblico è il parametro per l’industria del cinema?
Quando un’azienda deve lanciare un nuovo prodotto fa un’analisi di mercato, una verifica dei trend. E’ chiaro che non tutto va pensato in questo modo ma l’industria deve avere la capacità di raccordare il prodotto con i gusti del pubblico perché è la gente che determina l’andamento del box office. Poi se uno realizza un film che va fuori da questo parametro sa a cosa va incontro. Sicuramente anche questo aspetto va razionalizzato. L’industria del cinema non è una scienza esatta ma la sua struttura di base deve essere quella di un’azienda. Altro poi è l’intervento dello Stato su prodotti che riguardano i giovani. Questi devono essere aiutati e stimolati tenendo però sempre conto della produzione della catena del valore. Lo potrà fare il mercato, si possono mettere in moto meccanismi per cui aziende che danno opportunità ai giovani possono poi ottenere benefici maggiori. Su Fellini porsi il problema se incassa o meno non ha senso perché i suoi film vanno poi negli archivi storici. Però di Fellini non ce ne sono più tanti. Se però qualcuno, per esempio Zeffirelli, decide di fare un prodotto che riguarda la storia del nostro Paese e il mercato non dà le risorse, allora lo Stato può riflettere sulla possibilità di investimento. Dunque i soldi del Fus restano invariati, ma saranno utilizzati in maniera tale da dar vita al rischio d’impresa.
E’ opinione comune, non solo di Moretti, che la quota del Fus per il cinema, pari al 18%, non sia sufficiente.
La percentuale va valutata rispetto al risultato. A questo 18% corrispondono centinaia di miliardi, che sono stati e vengono tuttora distribuiti. Se tutto questo servisse a mettere in moto una macchina virtuosa potrebbe anche essere poco. Oggi questi miliardi sono tantissimi perché non hanno prodotto niente.
Si può pensare ai ‘Soliti ignoti’ in lingua inglese? I mercati internazionali vogliono questo da noi?
Quando si raffronta la situazione americana con quella europea bisogna riflettere bene sulle differenze. Noi come Stato Unico europeo siamo appena nati, abbiamo 15 lingue diverse. Ai tempi di Sergio Leone e del neorealismo c’erano storie che andavano oltre, erano uno spaccato di vita di un Paese che affascinava e colpiva. Oggi le storie devono essere raccolte sulle motivazioni, le istanze, il piacere del pubblico europeo. Come ragionano i giovani che vanno al cinema in Italia o in Spagna? Che gusti hanno? Che vestiti portano?
E l’eccezione culturale europea?
Non ha funzionato. Solo i francesi hanno saputo promuovere i loro prodotti in modo acutamente efficace.
Cosa potremmo prendere da loro?
La capacità di promuovere il nostro prodotto, inteso non solo come ‘made in Italy’ ma come industria culturale. Esistono decine di canali di promozione di qualcosa in giro per il mondo, ma tutti disorganici: il progetto di riforma del ministero degli Esteri prevede anche questo, la riorganizzazione della promozione.
Italia Cinema usa quei canali da diverso tempo.
Sì, ma è un po’ poco. Italia Cinema ha tentato di fare in qualche maniera ma è mancato il sistema. Italia Cinema è un tassello di un mosaico al quale manca la cornice.
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