Ci sono voluti otto anni per realizzare Ti voglio bene Eugenio. Il soggetto, una dichiarazione di amore verso “il diverso”, in questo caso affetto da sindrome down, ha ricevuto il rifiuto di molte case di produzione compresa RaiCinema. Ma alla fine il progetto si è concretizzato, e il volto di Eugenio è stato affidato a un interprete di solida esperienza quale Giancarlo Giannini. L’attore per entrare nella parte si è sottoposto a un incredibile “maquillage”: tiranti di gomma sulle palpebre, protesi sul mento e sulle guance, capelli arruffati, orecchie a sventola.
Ma il magnifico risultato della sua intepretazione, parole sue, lo deve ad Alfredo Scarlata. Alfredo, un ragazzo down qui al suo debutto cinematografico, è la versione giovane di Eugenio. Nel film ha girato poche scene, ma la sua collaborazione è stata ricca e profonda.
Ti voglio bene Eugenio, diretto da Francisco José Fernandez, ha già riscosso successo all’ultima edizione del Palm Springs Festival. Il pubblico californiano ha riservato un’ovazione di dieci minuti all’attore italiano candidato agli Oscar come non protagonista per Hannibal. Prodotto con un budget di 4 miliardi da Giovanni Schettini per Arcipelago Cinematografica, il film arriverà in sala venerdì 25 gennaio in 30 copie.
Alfredo e lei siete le due versioni di Eugenio. Il ragazzo appena uscito dall’adolescenza e l’adulto che ha imparato a lavorare ed essere autonomo. Quale percorso ha seguito per un ruolo così difficile?
Si è trattato non solo di un cambiamento fisico, ma anche e soprattutto interiore. Alfredo mi è stato di grande aiuto, sotto molto aspetti. In primo luogo mi ha aiutato con l’impostazione vocale. Gli ho fatto leggere le mie battute, e ho registrato la sua voce mentre recitava la mia parte. Lavorando insieme ho poi scoperto la sua personalità. Un individuo pieno di senso dell’ironia, innamorato della vita, oltre che delle donne, e dotato di un’intelligenza emotiva potentissima, che gli conferisce grande semplicità e fantasia. Di qui sono partito per costruire un personaggio che trasmettesse un’atmosfera di gioco e divertimento, nonostante il dramma.
Il trucco l’ha aiutata?
Il pubblico deve accorgersi che sono truccato per poi scordarsene. Ho raccontato il personaggio in modo semplice e sintetico. Ho dato sempre lo stesso ritmo all’espressione, cercando di eliminare qualsiasi eccesso. Il cinema è sintesi e il vero inteprete è lo spettatore. Amo molto il cinema americano perché come attore ti viene permesso di fare l’impossibile, di misurarti con i personaggi più incredibili. Un po’ meno quello italiano che sembra ancora condizionato, nonostante gli anni passati, da un’impronta neorealistica che ha finito per privilegiare la veridicità dei personaggi.
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