Giancarlo Giannini


Giancarlo GianniniQuasi quarant’anni di carriera. Teatro, cinema, televisione e doppiaggio. Ora ad Assisi gli dedicano una rassegna monografica che da 23 edizioni mette in risalto gli autori del cinema italiano. Per la prima volta, a differenza degli altri anni, si vuole approfondire il lavoro “autoriale” dell’attore.

In che modo si può considerare l’attore non più solamente “interprete” ma “creatore”?
E’ difficile determinarlo con precisione. Io tendo a considerarmi “esecutore”, il responsabile vero di un film, infatti, è sempre il regista. L’attore, alla fin fine, è un elemento interno: se non hai un buon regista, un buon direttore della fotografia e bravi tecnici non vai da nessuna parte. L’attore si può allora considerare autore, ma di se stesso.

Hai interpretato un’infinita varietà di ruoli. Qual è il personaggio che ti ha dato più soddisfazioni?
Ce ne sono tanti. Uno che ricordo sempre con estremo piacere è quello di Film d’amore e d’anarchia. Era la storia vera di un sardo, Michele Schirru, che fece proprio quella fine. Io l’ho trasformato, perché non amo mai seguire pedissequamente la realtà: il cinema è, prima di tutto, finzione.

Nella tua lunga carriera ci sono stati alcuni incontri decisivi: il primo, e più viscerale, è senz’altro quello con Lina Wertmüller, poi è arrivata la Melato infine Stefania Sandrelli. E’ lei la tua “compagna” di fiducia?
Dovrebbero erigere un monumento a Stefania e metterlo all’ingresso di Cinecittà: una donna semplice, talmente modesta che alle volte non riconosce neanche l’innegabile talento che ha, fatto di un’istintività pazzesca. Ha una capacità magica di fare cinema. Se ci soffermiamo sul periodo di massimo splendore del cinema italiano, poi, ci accorgiamo di come sia presente in tutti i più bei film: ha lavorato con gli attori più grandi (Mastroianni e Gassman) e con i registi più grandi.

Parliamo del doppiaggio: hai prestato la tua voce a due tra i più grandi attori del cinema mondiale, Al Pacino e Jack Nicholson. Proprio per Shining – che hai doppiato in un giorno solo – hai ricevuto i complimenti di Kubrick.
Non ricordo con precisione se anche per Shining impiegai un solo giorno con il doppiaggio. Di sicuro, in un pomeriggio, ultimai quello di Ryan O’Neal per Barry Lyndon, sempre di Kubrick. Diciamo che, mediamente, sono molto veloce nel doppiaggio anche se non è il mio mestiere. Ho doppiato quasi tutti gli ultimi film di Al Pacino e ogni volta cambio, cerco sostanzialmente di “tradurre” quello che fa lui.

Nell’82, ormai consacrato a livello internazionale, hai scritto soggetto e sceneggiatura di Bello mio, bellezza mia, diretto da Corbucci. Poco più in là, nell’86, hai scritto, diretto e interpretato Ternosecco. Cosa ha significato trovarsi dall’altra parte?
Mi diverte molto “l’oggetto” macchina da presa e la finzione che può creare. Ricordo, anche grazie ad una foto che ho visto sul catalogo di questa rassegna, quando mi sono trovato a dover girare una scena che mi vedeva agire con gli attori alle spalle: avevo un problema, non potevo controllarli. Allora ho preso uno specchio e l’ho messo dietro la macchina da presa: mentre recitavo, con la coda dell’occhio osservavo i loro movimenti grazie all’immagine riflessa. Ci siamo davvero divertiti.

Perché non hai più voluto ripetere l’esperienza?
Perché è stata un’esperienza divertente, ma estremamente faticosa. Ho avuto un’infinità di problemi, mi sono dovuto inventare quasi tutto a causa di continui guai produttivi. Mi hanno proposto altre regie, ma ho sempre rifiutato.

Ora sei nelle sale con Tredici a tavola, commedia corale di Oldoini, ed è imminente il passaggio televisivo de Le cinque giornate di Milano, diretto da Lizzani. Trovi sia ancora così netta la differenza tra fare cinema e fare televisione?
No, non c’è più alcuna differenza: la velocità con cui si lavora in televisione è la stessa con cui si lavora al cinema. La qualità è più o meno uguale e, devo dire, è scadente da entrambe le parti.

Torni a lavorare con Lizzani dopo l’esperienza, nel ’96, di Celluloide. All’epoca si raccontava di un momento storico del cinema italiano. Oggi si fa un bel passo indietro e si ripercorre un evento cruciale della storia del nostro paese.
Quando Giuseppe Ferrara mi propose di interpretare Borsellino nel film su Giovanni Falcone, sulle prime rifiutai perché era passato troppo poco tempo da quei fatti dolorosi. Poco dopo m’imbattei in un’intervista rilasciata dallo stesso Borsellino e trovai questo personaggio così straordinario, così convinto e così puro che non potei fare a meno di cambiare idea: bisognava fare il film! Doveva assolutamente rimanere un documento, soprattutto a disposizione dei giovani, per far vedere che anche in Italia qualche persona seria c’è stata. Anche un personaggio come Amidei in Celluloide era doveroso “tenerlo in vita”: un altro pilastro del nostro cinema, del neorealismo. E’ stato bello provare ad interpretarlo, non fosse altro perché ho avuto la fortuna di conoscerlo, come Rossellini e la Magnani. E poi, tutto sommato, mi è riuscito anche abbastanza bene&

Altroché. Hai ottenuto anche il David di Donatello.
Mah, sai, i premi alle volte… Recentemente sono stato premiato per aver interpretato un uomo affetto dalla sindrome di Down in un film che nessuno ha visto, Ti voglio bene Eugenio: a Milano è stato proiettato una sola settimana, in un’unica sala e solo all’ultimo spettacolo. I premi, come vedi, hanno un’importanza relativa.

autore
04 Dicembre 2004

Interviste

Ti West
Interviste

Ti West: “in ‘MaXXXine’, gli anni ’80 che nessuno vuole mostrare”

Con MaXXXine, in sala con Lucky Red, Ti West conclude la trilogia iniziata con X: A Sexy Horror Story e proseguita con Pearl, confermandosi una delle voci più originali del cinema di genere dell’era Covid e post-Covid

play
Interviste

Trincia: “ognuno di noi ha sentito vicinanza con questo caso”

Dove nessuno guarda. Il caso Elisa Claps - La serie ripercorre in 4 episodi una delle più incredibili storie di cronaca italiane: il 13 e 14 novembre su Sky TG24, Sky Crime e Sky Documentaries.

play
Interviste

Luchetti: “ho voluto raccontare Carla anche come donna politica”

Codice Carla mostra come Carla Fracci (1936-2021) fosse molto più di una ballerina famosa.

Interviste

Marco Valerio Gallo: come ti disegno ‘Freaks Out’

Il disegnatore, illustratore e docente presso la Scuola Romana dei Fumetti ci racconta come ha lavorato sugli storyboard dell'ultimo successo di Gabriele Mainetti


Ultimi aggiornamenti