“Non esiste una tecnica unica e precisa. Si può interpretare un personaggio in totale immersione, ma può avvenire anche il contrario. Diderot sostiene che l’attore, mentre comunica allo spettatore una grande emozione esplorando i territori inquietanti della tragedia, magari pensa alla trattoria dove andrà a mangiare dopo lo spettacolo”. Così un ironico Gian Maria Volonté (1933-1994) che è stato ricordato a 25 anni dalla scomparsa, oltre che da una mostra del Festival di Porretta Terme, con due giornate a lui dedicate, la prima alla Casa del Cinema di Roma con una tavola rotonda moderata da Fabio Ferzetti e programmata dopo la proiezione della versione restaurata di Sacco e Vanzetti (1971).
L’idea di questo film sulla vicenda dei due anarchici italiani, emigrati negli Stati Uniti e ingiustamente condannati a morte per una rapina armata con due vittime, viene a Giuliano Montaldo dopo aver visto una pièce su quegli avvenimenti in un teatro genovese. Passeranno tre anni, ricorda il regista, prima di trovare qualcuno disposto a finanziare l’impresa, nella persona di Arrigo Colombo, il produttore di Per un pugno di dollari di Sergio Leone. E lunga è la ricerca delle location – Dublino e Boston – capaci di restituire l’atmosfera dell’America di inizio Novecento.
Volonté interpreta Bartolomeo Vanzetti, più politicizzato e militante rispetto a Nicola Sacco (Riccardo Cucciolla) personaggio che Volonté aveva recitato nello spettacolo teatrale “Sacco e Vanzetti”, per la regia di Giancarlo Sbragia. ”Gian Maria è stato la spinta fondamentale del film, viveva il suo personaggio il giorno e la notte – afferma Montaldo – il suo rapporto con Cucciolla attore era protettivo così come lo era nella finzione. E poi scriveva e riscriveva, almeno tre volte, le sue battute, su quaderni neri scolastici”.
Un metodo attoriale che Felice Laudadio ben ricorda, avendo conosciuto e frequentato Volonté: “Per ogni ruolo si prendeva due, tre mesi di tempo, di concentrazione assoluta, poi trascriveva minuziosamente su un primo quaderno di scuola la sceneggiatura, poi su un secondo le sue battute, cambiando le parole e trovando quelle più adatte al personaggio e perfino alla sua fisiognomica. Infine il terzo quaderno riportava le battute nella versione finale. Ovviamente questo suo perfezionismo, che era un valore aggiunto, spesso creava problemi e scontri con i registi, ne sanno qualcosa Elio Petri e Gianni Amelio che l’hanno diretto”. L’attore per Volonté è dunque non solo interprete ma anche autore. “Ha cambiato la concezione sociale dell’attore, impegnandosi in prima persona nella battaglia voce /volto, molto partecipata all’epoca – sottolinea Franco Montini – opponendosi apertamente e promuovendo lo sciopero degli attori contro la consuetudine di doppiare molti interpreti, come del resto accade anche a lui nei due western di Leone”.
Emerge qui con prepotenza il Volonté intellettuale, l’uomo di sinistra per un periodo vicino al Partito comunista, il ‘compagno di strada’ generoso e impegnato nelle battaglie politiche degli anni ’60 e ’70. “Si presentò al quotidiano l’Unità, dove ricoprivo l’incarico di capo della redazione cultura e spettacoli – ricorda Laudadio – chiedendomi in modo deciso di pubblicare un comunicato sulla questione voce/volto, nonostante il mio avvertimento che la cosa avrebbe provocato probabilmente una dura reazione da parte dei produttori. E infatti Gian Maria viene messo nella lista nera ed è allora che comincia una carriera internazionale”. E sempre Laudadio restituisce l’immagine di un Volonté impegnato, durante le elezioni politiche, in un tour che lo porta e incontrare gli immigrati italiani di Svizzera e Germania per sostenere il voto al PCI, documentandosi prima in modo approfondito e puntiglioso su ogni singola realtà operaia.
Ma la grandezza artistica di Volonté resta nella sua abilità mimetica, nell’essere tutto e il contrario di tutto, senza mai identificarsi con una maschera, con un prototipo umano, come sottolinea Montini. Dal crudele bandito messicano di Per qualche dollaro in più (1965) all’intraprendente capo dell’Eni ne Il caso Mattei (1972); dall’esaltato e assassino ispettore dell’ufficio politico della questura in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) al malinconico Aldo Moro de Il caso Moro (1986); dall’ufficiale ribelle di Uomini contro (1975) all’ambiguo capo della mafia italo-americana in Lucky Luciano (1973).
“Il suo modo di recitare coincide con la costruzione di un’identità che ha una vita autonoma – spiega lo psicoterapeuta Giovanni Savastano, autore del libro “Gian Maria Volontè. Recito dunque sono” – Egli non si cala nel personaggio, lo diventa, ‘io non esco e neppure entro nel personaggio’ come lui stesso ci suggerisce”. Il risultato di questo ‘Volonté Studio’ è ogni volta un viaggio all’interno del personaggio per metabolizzarlo, per farlo proprio anche in modo ossessivo. Peccato non averlo visto applicato in quel progetto filmico per qualche tempo accarezzato di un Don Chisciotte accanto a un Sancho Panza interpretato dall’amico Paolo Villaggio.
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