Ha pensato al soggetto una sera d’ottobre del 2000, ha scritto la sceneggiatura in 3 mesi con Francesco Di Pace. Poi ha trasformato la sua casa romana in un set, se stessa in attrice e ha convinto i suoi amici e lavorare a budget zero.
Così, in 7 settimane di riprese in digitale, Giada Colagrande, regista pescarese 27enne, ha realizzato Aprimi il cuore, film d’esordio selezionato per i Nuovi Territori della 59/a Mostra del Cinema di Venezia.
Una vetrina d’eccezione per la giovane filmaker che alle spalle ha 2 cortometraggi e esperienze nella videoarte.
“Nel 1993 vidi una mostra di Bill Viola, un videoartista americano. Mi colpì un suo trittico: da un lato gli ultimi minuti del parto di sua moglie, dall’altro gli ultimi minuti di vita della madre, al centro un uomo sospeso nel vuoto. Da quel momento in poi il cinema è diventato un’urgenza. Attraverso Viola e David Lynch ho colto la forza espressiva del mezzo: quella di restituire con immediatezza la percezione del tempo e del pensiero, dei sogni e delle ossessioni” racconta.
E il suo film, nato anche grazie alla complicità della madre e della nonna, mette in scena la relazione ambigua, complessa e morbosa tra due sorelle. Maria (interpretata da Natalie Cristiani), prostituta, ha cresciuto Caterina (Giada Colagrande) e la tiene quasi rinchiusa in casa, coltivando un amore che esplode nella follia quando l’altra s’innamora del custode della sua scuola di danza (Claudio Botosso).
Aprimi il cuore esce il 24 aprile, distribuito dalla Lucky Red.
Qualcuno ha già etichettato “Aprimi il cuore” come film scandalo.
Non mi importa granché delle etichette perché ho realizzato il mio film in modo intimo e sincero, senza scendere a compromessi. L’equivoco maggiore riguarda la blasfemia per la ricorrenza di immagini della Madonna. Non sono cattolica, ma ho assorbito molto di quella cultura. Il mio non è neppure un film sul lesbismo e la prostituzione, che sono elementi secondari. Mette in scena, con luci cupe e contrastate, un amore totale, quello tra Maria e Caterina, sorelle, amiche e amanti. Soprattutto racconta l’impossibilità di raggiungere l’unità attraverso l’amore. Maria è una donna apparentemente forte, fa la prostituta perché rifiuta gli uomini e per lei l’amore è scisso dal sesso, ma in realtà è vittima di un sentimento disperato.
Come hai vissuto l’esperienze di stare contemporaneamente dietro e di fronte alla macchina da presa? Prima di Aprimi il cuore ho recitato solo con Tonino De Bernardi. Ma la storia del mio film è talmente intima, anche se non autobiografica, che potevo interpretarla solo io: le movenze e i gesti delle protagoniste sono i miei e quelli di Natalie, la mia migliore amica. E’ stata un’esperienza folgorante e completa. Mi ha permesso di creare con gli altri attori un rapporto paritario. C’era anche una dimensione ludica molto forte. Poi il montaggio è stato quasi un’autoanalisi: in quelle immagini s’incarnano tutte le mie ossessioni. Mi ha consumato ma anche liberato. La recitazione di Natalie, la coprotagonista, e la mia sono molto scarne, mentre quella di Claudio Botosso è più caricata. Lui è l’emblema del maschio seduttore, poi però s’innamora e finisce per somigliare ai personaggi dei noir e dei melò francesi anni Quaranta che nascondono le proprie debolezze dietro una corazza. Sul set gli dicevo: “Pensa alla recitazione degli attori di De Oliveira: è così impostata da risultare ironica”.
I registi che ti hanno influenzata?
Tendo ad un cinema rigoroso ed essenziale. Per trovare coerenza stilistica e rigore ho guardato a De Oliveira e al cinema orientale, soprattutto quello giapponese di Ozu e Mizoguchi. Da Ophuls ho tratto la consapevolezza che attraverso le inquadrature offri allo spettatore le chiavi di lettura: il punto di vista del pubblico coincide con quello della macchina da presa. Una scelta che non lascia spazio a malintesi.
Il montaggio e il missaggio del suono si sono rivelati molto impegnativi.
Si, a causa delle interferenze di Radio Vaticana che ci hanno costretto a doppiare un ¼ . Ma ho deciso di tenerne una parte: le Ave Maria in tedesco hanno un che di suggestivo. I costi sono stati coperti dal produttore Massimo Cortesi che si è innamorato del film. Se Aprimi il cuore va a Venezia è anche grazie a lui.
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