In tv dicono che il Papa si è rimesso splendidamente dall’operazione e che trascorrerà la Settimana Santa in Vaticano. Uno spettatore d’eccezione accoglie la notizia con particolare commozione. Si tratta di Giacomo Battiato, regista di Karol, storia di un uomo che è diventato Papa. “Per fare questa fiction ammette Battiato, che abbiamo incontrato durante il missagio della miniserie in onda su Canale 5 nelle prossime settimane mi sono documentato così tanto che ormai mi sembra quasi di conoscere a fondo quest’uomo straordinario. Sono contento che sia guarito e spero che presto vorrà vedere il film di cui gli manderemo una copia in dvd appena avremo finito tutte le fasi di realizzazione. Ho sempre tenuto tantissimo che lo vedesse”.
Giacomo Battiato ha al suo attivo due romanzi: Fuori dal cielo (1996) e L’amore nel palmo della mano (2000). Ha scritto e diretto le fiction Il marsigliese (con cui ha esordito in tv, nel 1975), Un delitto per bene (1977) e Il giardino dei cristalli (1979). Ha alternato regie per il cinema (I paladini. Storia d’armi e d’amori, 1983 e Cronaca di un amore violato, 1995) a quelle per la televisione (Il cugino americano, 1986; La Piovra 8, 1997 e la Piovra 9, 1998). Dopo il mancato successo de Il giovane Casanova (interpretato da Stefano Accorsi), ritorna sul piccolo schermo con un argomento difficile: la storia del Papa.
Come è riuscito ad affrontare un così grande personaggio della nostra storia contemporanea?
Quando Pietro Valsecchi, il produttore, mi ha proposto il lavoro io non volevo accettare. Ci ho messo un po’ per convincermi ad affrontare la biografia di un uomo così grande e addirittura ancora vivo. Già parlare della vita di un uomo comune è difficile: una vita sono tanti film. Pensi quanto può essere difficoltoso parlare della vita di uno dei più grandi uomini del ‘900. Poi ho iniziato a documentarmi, a studiare la vita del Papa e la storia della Polonia dei suoi anni e ho capito di avere incontrato un giovane semplice e allo stesso tempo molto affascinate. Studiava filologia e voleva fare l’attore. E poi ha fatto il sacerdote perché ha visto da vicino il dolore e l’annientamento della dignità umana. E’ stato un giovane che nel diventare uomo si è dovuto confrontare con i due mostri del ‘900, nazismo e comunismo.
Quali parti della vita del Papa racconterà la fiction?
Il film si apre con le scene dell’entrata dei nazisti a Cracovia il 1° settembre del ’39, per poi tornare indietro a quando Karol Wojtyla aveva dieci anni e viveva a Wadvice. La seconda parte invece tratta dei suoi anni da sacerdote fino all’elezione, nel ’78. Parleremo insomma della spensieratezza dell’infanzia del futuro Papa, poi dell’occupazione nazista, della vita da studente-operaio, del teatro e del seminario clandestino, degli anni dell’opposizione dell’arcivescovo di Cracovia al comunismo e della sua attività tra gli studenti.
Il Vaticano è intervenuto in qualche modo nelle fasi di scrittura e di realizzazione della fiction?
All’inizio temevo che ci potesse essere un condizionamento da parte del Vaticano. Ho incontrato le persone che avrebbero dovuto seguire la lavorazione del film e ho trovato un’apertura sorprendente. Mi è stato detto quasi testualmente: “Il Papa non è così presuntuoso da dare o non dare autorizzazioni. Un autore è libero di dare le sue interpretazioni”. Ho avuto consigli da parte del Vaticano ma più che altro di tipo storico. Non c’è mai stato un condizionamento creativo. Era molto chiaro che questo non è un documentario. E’ un film. C’è la stessa differenza che passa tra un pezzo di cronaca e un testo letterario. La mia intenzione è stata quella di reagire alla sua biografia con le mie emozioni e di raccontarlo.
La fiction dell’ultimo ventennio è sempre più intrisa di realtà da essere ormai ritenuta d’impegno civile. Come si inserisce, a qualche anno di distanza dalla sua ultima Piovra, il suo lavoro in questo contesto?
Affrontare la realtà è importantissimo nel mio lavoro. Ne diventa il simbolo, la metafora. La fiction sul Papa, ad esempio, mi ha dato la possibilità di attraversare quarant’anni di storia che hanno segnato le nostre radici. Ma bisogna stare attenti: un conto è la finzione, cioè un’elaborazione che si stacca dalla realtà e un conto è il cosiddetto docu-drama. Rispettabilissimo, alcuni lo fanno anche bene ma io lo detesto. O racconti la realtà e allora fai un’inchiesta per bene oppure fai una finzione e cioè un’opera poetica. La fiction è cento per cento di documentazione e cento per cento d’invenzione. Bisogna sapere tutto dell’argomento che vuoi trattare ma poi devi reinventarlo.
Valsecchi è noto per essere onnipresente nelle sue produzioni. Qual è stata la sua esperienza di lavoro con un uomo che tende a seguire forse un po’ troppo da vicino le sue creature televisive?
Karol è la prima fiction che faccio con Valsecchi. Credo che lui sia invadente se ce n’è bisogno. Fin dall’inizio i nostri rapporti sono stati di reciproco rispetto. Abbiamo collaborato in fase di preproduzione e poi lui si è visto pochissimo sul set e qualche volta in sala montaggio. Lui si identifica moltissimo nei film che fa e quindi anche in questo caso ha voluto dare suggerimenti, e idee giuste che ho raccolto in piena serenità.
Ci sarà una seconda volta?
Credo di sì, visto che il seguito di questa fiction sul Papa è già in fase di scrittura. Ma mi piacerebbe riprendere a scrivere. Avrei bisogno di un po’ di calma e tranquillità per scrivere finalmente il mio terzo romanzo.
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