‘Garbo’, la divina Greta narrata da un appostamento, Madonna e 250 fotografie

“La biografia definitiva” dell’attrice svedese naturalizzata statunitense: 16 anni di carriera e 24 film hollywoodiani per creare un mito. Robert Gottlieb firma il libro, pubblicato da Il Castoro


16, 24. Gli anni di carriera i primi, i film hollywoodiani interpretati gli altri. Non un tempo importante nella durata ma ricco come un’intera esistenza, tanto da “bastare” a Greta Lovisa Gustafsson, pseudonimo di Greta Garbo (1905-1990), per imperare nell’Olimpo del Mito.

Lei, svedese naturalizzata statunitense, definita “la divina”, ma anche “vamp” – dalla MGM che l’aveva scritturata negli Stati Uniti – concetto, quest’ultimo, che sott’intendeva l’essere femme fatale adescatrice di uomini, e che lei detestava: talento e carisma ne hanno fatto un simbolo del sistema, dal Muto e fino ai suoi 36 anni, quando si ritira dalle scene (dopo Ninotchka di Ernst Lubitsch, 1939 e Non tradirmi con me del fedele George Cukor, 1941), a New York, vivendo come “un’eremita in città”, e viaggiando nella natìa Europa, sinonimo delle sue frequentazioni con i Rothschild, Onassis e Churchill

La stoffa, la vocazione, il fascino e la riservatezza sono tutti in Garbo, biografia densa di quell’equilibrio difficile, ma qui riuscito, tra il mordente e il cristallino, che Robert Gottlieb – critico letterario del “New York Times” e editor del “New Yorker” – tesse restituendo al lettore l’immersione tra le pagine, come fosse un ammaliante romanzo

La raffinata sofisticatezza, eppur non un’impenetrabilità assoluta, proprie della persona e dell’attrice, lo sono anche della copertina del libro, di un elegante bicolore bianco e nero, che pare giocare anche con la geometria della pellicola, ovvero la visione orizzontale tipica del cinema, infatti se il terzo più alto delle stessa – a fondo bianco – riporta il titolo in un corsivo nero e chic, Garbo appunto, e il piè di pagina l’autore e l’editore, è lo spazio centrale a suscitare l’effetto calamita, esercitato da un’immagine del solo taglio dello sguardo frontale dell’attrice. 

Parole. Immagini. Se è sulle parole, e sulla capacità di Gottlieb di evocare universi, che si scrive/legge Garbo, il libro è però anche costellato di 250 fotografie: per quella che è stata definita “la biografia definitiva”, l’autore sceglie un’architettura bipolare; se dapprima Gottlieb comincia con Perché la Garbo? – questione a cui risponde subito nel primo capitolo descrivendola come “un fenomeno, una sfinge, un mito, ma anche una ragazza svedese di campagna, priva di istruzione, ingenua e sempre in guardia” – poi passa per La Garbo fuori dallo schermoLa Garbo, il denaro e l’arte, dove l’autore scrive che “La Garbo, che era cresciuta in estrema povertà, trascorse il resto della vita in ansia per i soldi. … Fu a New York, all’inizio degli anni Quaranta, che la Garbo si tuffò nel mondo dell’arte (o nel mercato dell’arte). …E davvero il colore sembra essere stato il suo criterio principale nello scegliere l’arte”; il giornalista sceglie poi un “secondo tempo” letterario per il libro: Scrivono della Garbo, in cui il lettore può perdersi – tra gli altri – tra Ventiquattr’ore con Greta Garbo La Garbo nelle canzoni.

Nel primo dei due capitoli un avvincente racconto di pedinamento dell’attrice, durato un giorno e una notte, di cui rende conto Harriet Parsons, giornalista, figlia di Louella Parsons (la più potente giornalista di gossip di Hollywood), che ne scrisse per la rivista “Silver Screen” e – in un passaggio – racconta l’appostamento, “…da un piccolo varco nel muro di alberi vedo una figura stesa sull’erba in un tratto illuminato dal sole. È la Garbo. È rannicchiata sotto un vecchio accappatoio da cui spuntano soltanto le gambe nude. Parla ai gatti. Canta una canzone tedesca con una voce profonda e gradevole: è la serenata di Schubert. A mezzogiorno la cuoca esce con il pranzo sul vassoio. La Garbo le parla in inglese, le chiede del pane svedese!”; mentre nelle altre tre pagine ci si diletta a “trovare La Garbo” nelle strofe di brani musicali, così – nella “playlist” delle 12 canzoni proposte – la diva c’è per Cole Porter in You’re the top (1934) e – sessant’anni più tardi – anche per Madonna, in Vogue (1990), nelle strofe in compagnia di “…Monroe, Dietrich e Di Maggio”. 

Le immagini della Garbo, a corredo dello scritto, sono un viaggio visivo versatilissimo, vicinissimo e lontanissimo al contempo dall’idea popolare di “diva”: se un primo piano di lei abbracciata nel cappotto, ne La via senza gloria (1925), la restituisce marmorizzata in un’aura tra il melodrammatico e lo ieratico, classici toni estetici degli scatti dell’epoca, la Garbo si spettina e si dispera nell’acqua ghiacciata de La carne e il diavolo (1926). Ma nella selezione delle oltre due centinaia e mezzo di scatti – tra set e posati – Garbo appare anche “una e quadrupla” nella composizione dei quattro primi piani che ne valorizzano la bellezza del volto incorniciato da altrettanti e differenti copricapi bianchi (a pagina 182); e ancora, è sciolta e a pieno sorriso quando sciocca il mondo ballando il chica-choca in Non tradirmi con me (1941). 

Ma la Garbo, si sa, non è stata nemmeno lontana dal nostro Paese, lo testimoniano due scatti: uno romano, di lei austera, quasi irriconoscibile con carré scuro e stretta in un tailleur nero con scarpe rasoterra; l’altro informale, seduta su una piccola imbarcazione, tra persone amiche: intuiamo sia abbigliata ‘alla Garbo’, stile più androgino e per lei tipico del tempo libero, a Portofino.

Infine, da pagina 307 a 329 un’intera galleria di lei, in cui è solo la sua immagine “a scrivere” quelle pagine, in cui ricorre “il disegno” del suo viso, a raccontarne la seduttività e la grazia della donna e dell’interprete. 

Il libro – da poco uscito in Italia (tradotto da Anna Carbone, pp.448, euro 28,00) – è anche l’occasione per Il Castoro, editore del volume, di festeggiare il proprio primo trentennale: per “Esquire”Garbo è nella lista dei 125 libri di tutti i tempi riguardanti Hollywood

 

 

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25 Aprile 2023

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