Un’idea non semplice e forse anche un po’ azzardata quella di trarre un film da un libro che si sviluppa per intero sulla conversazione tra un padre e il proprio figlio. La fine è il mio inizio del regista tedesco Jo Baier è infatti tratto dall’omonimo libro postumo di Tiziano Terzani, un best seller di oltre 530mila copie pubblicato nel 2006 da Longanesi (in Germania ha venduto 220mila copie), in cui un padre, sapendo di essere al termine dell’esistenza, racconta al figlio Folco, che lo interroga e dialoga con lui, la sua vita e la sua visione del mondo.
Folco, è stato chiamato a New York dal padre, malato da tempo, e l’ha raggiunto nella casa di Orsigna sull’Appennino toscano, set peraltro del film. Lì per tre mesi ha registrato le lunghe e profonde conversazioni con il padre, accompagnandolo fino alla sua fine. Il film ruota intorno alle riflessioni di Tiziano Terzani sulla morte vista come una ‘ultima avventura’, sulla guerra e sulla pace, nonché sulle esperienze vissute come corrispondente dall’Asia, ma anche della caduta dell’impero sovietico, per ‘Der Spiegel’, ‘Repubblica’ e ‘Il Corriere della Sera’.
Un film, distribuito da Fandango in 60 copie dall’1 aprile, la cui tensione drammaturgica è tutta affidata all’ultimo dialogo, ma anche all’ultimo conflitto tra un padre, un intenso e commovente Bruno Ganz, e un figlio, un equlibrato Elio Germano, mentre Angela, la moglie di Terzani, è interpretata da Erika Pluar e la figlia Saskia da Andrea Osvart. Dunque nessun flash back, nessuna immagine della Cina o del Vietnam di cui il protagonista parla, nessun spostamento rispetto al testo. “All’inizio, in fase di sceneggiatura, io e Ulrich avevamo pensato ad alcune scene drammatiche, ma non sembravano vere e noi volevamo essere ancorati alla verità”, afferma Folco Terzani.
“E’ stata una sfida perché abbiamo privilegiato l’ascolto, la parola, la narrazione – spiega lo sceneggiatore e produttore Ulrich Limmer – è infatti una cosa sempre più rara oggi, nel cinema, che una persona racconti e l’altro ascolti. Inoltre ci interessava restituire questo rapporto di Tiziano con la morte, che aveva accettato”.
Una delle poche variazioni rispetto al libro è il litigio tra i due, avvenuto ma raccontato solo nel film, “si tratta dell’unica volta che l’ho avuta vinta, ma mi dispiace perché babbo stava male”, afferma Terzani jr. E parla di un padre difficile ma affascinante, sempre pronto a discutere e a prendersela con i notiziari televisivi, “il suo era un pacifismo forte e incazzato”. E sottolinea come quei tre mesi trascorsi insieme siano stati i più belli, “eravamo da soli sulla frontiera dell’ignoto”.
In altri tempi Terzani senior sarebbe stato uno di quei pellegrini, che giravano il mondo per conoscerlo. “Ha avuto la fortuna di essere pagato per capire cos’era la guerra, andando in Vietnam, o la giustizia, confrontandosi con l’esperimento di ingegneria sociale della Cina maoista. Aveva come modello gli esploratori di un tempo che attraversavano le montagne”, dice ancora il figlio.
L’attore Bruno Ganz afferma di aver restituito un Terzani spirituale sì, ma senza aspetti new age o esoterici. “E’ stato un giornalista importante, un uomo aperto verso il buddhismo senza diventare buddhista, curioso e rispettoso verso la cultura degli altri. E soprattutto suo è quel senso cosmico, il sentirsi parte del tutto aspettando la morte”.
Per Elio Germano il film è una storia sulla malattia e la morte, “due questioni fondamentali delle quali non si parla mai. La coscienza di dover morire, senza per questo pensare a un dramma e con un sorriso sulle labbra, così come ci indica Tiziano”.
La fine è il mio inizio, uscito con successo in Germania a ottobre e visto da oltre 230mila spettatori, ora è nei cinema dell’Austria e della Svizzera.
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