Madri feconde, tenaci, patriote votate alla causa della nazione. Ecco gli stereotipi della Donna Fascista diffusi dall’apparato propagandistico di Mussolini.
Ma che cosa accadeva nell’esperienza reale delle donne e delle lesbiche sotto il regime? Gabriella Romano, classe 1960, ex giornalista Rai che dal 1987 vive a Londra, risponde a questo interrogativo con L’altro ieri, documentario di 22’ che ieri ha vinto il premio del pubblico nella categoria non fiction alla decima edizione del festival di cinema lesbico “Immaginaria” (vedi tutti i premi).
Nel filmato, tra inserti di materiale di propaganda fascista e immagini tratte da film didattici Usa, cinque donne parlano di sé, di un periodo fatto di silenzi, paure e desideri inconfessati.
Il 7 marzo L’altro ieri sarà al Festival delle donne di Torino e a giugno parteciperà al Festival Gay e Lesbico di San Francisco.
Come è nata l’idea del documentario?
Tutto è iniziato nel 1995 quando ho girato Pazza d’azzurro, un corto di docufiction basato sui diari di Nietta Pra. All’epoca ho conosciuto tante donne vissute nel ventennio e ho avuto l’idea di realizzare un progetto sulle esperienze di gay e lesbiche vissuti durante il fascismo. L’altro ieri è il primo risultato. A “Immaginaria” ho presentato una versione ridotta rispetto all’idea iniziale che comprende anche materiali di propaganda dell’Istituto Luce. Ma costano troppo e ho dovuto farne a meno.
Tra le donne lesbiche che compaiono in “L’altro ieri” solo una ha scelto di farsi riprendere. Perché?
La repressione delle lesbiche durante il fascismo non è stata portata avanti attraverso decreti punitivi come è accaduto per i gay. L’omosessualità femminile non era neppure riconosciuta, era semplicemente confinata alla patologia, interpretata come isterismo, disordine psichiatrico. Molte donne venivano addirittura sottoposte a esorcismo. È stata una repressione strisciante ma capillare e molto efficace. Uno dei suoi risultati è un’autocensura che sopravvive ancora oggi. Ecco perché tra tutte le donne che ho contattato solo una ha accettato di dichiararsi lesbica e mostrare il suo volto alla telecamera. Ma è importante che anche le altre abbiano accettato di partecipare. Anche se a volto coperto e con voci contraffatte, è un modo per scrollarsi di dosso il peso che portano con sé da decenni.
A molte hai chiesto quali erano i loro eroi dell’epoca e le risposte sono tutte al maschile…
Quelle donne vivevano una condizione di grande solitudine, spesso erano segregate in casa. Non avevano modelli femminili diversi da quelli della madre prolifica, della donna rurale imposti dal regime. Così spesso gli unici eroi liberi erano Sandokan e Tarzan: un’identificazione che può essere vista come forma di resistenza all’immaginario fascista.
Raccontaci la storia produttiva del documentario.
Ho proposto l’idea a Tele+ che sembrava interessata all’acquisto. Poi, dopo vari tentennamenti, hanno rinunciato. Ma per fortuna Arcilesbica e un privato mi hanno fornito appoggio finanziario e la compagnia di produzione GA&A quello logistico. Ho pagato io stessa il montaggio. Ma devo ringraziare lesbiche di tutta Italia che mi hanno sostenuta, ospitata, offerto strumenti e contatti. Un supporto prezioso e non quantificabile. Ora sono alla ricerca di una distribuzione.
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