Una visita guidata nella Shanghai della globalizzazione, tra passato remoto e futuro prossimo, insieme alla scrittrice Mian Mian; la videoarte impervia ma non scollata dalla storia di Marco Agostinelli; il jazz al femminile di Gabriella Morandi.
In attesa dei tre del concorso locarnese (Sciarra, Rondalli, De Lillo), la sezione Cineasti del presente continua a proporre video italiani a dimostrazione di una vitalità inattesa del digitale nelle sue diverse versioni, dal documentario televisivo alla manipolazione sperimentale dell’immagine.
Shanghai mon amour di Francesco Conversano & Nene Grignaffini, prodotto dalla loro Movie Movie e in onda il 4 settembre su Raitre, fa parte di una serie compatta di esplorazioni delle metropoli del mondo abitate e amate da romanzieri e saggisti. A Shanghai, capitale di un’occidentalizzazione contraddittoria e non proprio indolore, ci guida la trentenne che ha conquistato e scandalizzato l’editoria cinese con romanzi come La la la (da noi lo sta per pubblicare Einaudi) e Candy. Romanzi in gran parte autobiografici, dal linguaggio diretto e crudele, abitati da ragazze scandalose: il suo primo libro uscì in segreto a Hong Kong prima di arrivare sugli scaffali della Cina popolare scuotendola fino a diventare un cult giovanile.
Conversano & Grignaffini seguono Mian Mian nelle notti della città, vanno a trovare i suoi amici – dj, artisti occidentali o giovanissimi pittori cinesi, galleristi e musicisti. Lei stessa, scappata di casa a 17 anni, confessa di aver fatto esperienze di ogni tipo: droghe, sesso casuale, molto rock, la voglia di somigliare ai coetanei americani, il culto per il look e l’apparenza, le atmosfere di un film come Millennium Mambo vissute dal vero, insomma. “È una generazione, quella di Mian Mian – dicono i due autori – che ha cancellato il passato e la memoria, che si è volontariamente sradicata”. Disturbante e fragile, è in certa misura la stessa generazione raccontata da un film hongkonghese del concorso, Conjugation dell’esordiente Tong Hiu Pak, nata nel 1970 a Pechino, autrice di una riflessione ellittica eppure molto politica sui fatti di Tien-an-Men e l’impatto che hanno avuto sui ragazzi cinesi anche nella vita dei sentimenti (l’amore fisico, una gravidanza interrotta sono mostrati nel film con grande coraggio, come eventi della quotidianità).
Sono donne fuori dall’ordinario per definizione anche le Jazzwomen di Gabriella Morandi, una bolognese già autrice del lungometraggio Le mosche in testa (1993) che ora vive a New York e che negli ultimi quattro anni ha raccolto testimonianze di musiciste leggendarie come Barbara Carroll, Abbey Lincoln, Jackie Cain, Dakota Stanton… Ne ha fatto un documentario già premiato al festival delle donne di Créteil (Parigi) che ripercorre una nottata newyorchese commentata sulle frequenze della WBGO dalla voce roca di Awilda Rivera. Si tratta di interviste alle protagoniste, ormai anziane, della scena musicale jazz-blues. “Donne che oggi hanno tra i 65 e i 75 anni e che hanno vissuto questa musica, territorio tradizionalmente maschile, sulla loro pelle, pagando in ristrettezze economiche, negli affetti e in amore, perdendo pezzi per strada ma salvando la loro integritàe la loro vocazione”, spiega l’autrice. Che insieme a Robert Richards e Francesco Pini, ha autoprodotto questo lavoro salvo poi incontrare un mecenate convinto in Alberto Masotti della Perla: “un bolognese che si è rivelato più femminista di me”. Adesso Jazzwomen è alla ricerca di un mercato televisivo, anche in Italia, con l’intenzione di farne una versione in due puntate per la tv, un cd e un libro; mentre Gabriella sta progettando il suo secondo lungometraggio.
Videoarte pura, infine, nei due lavori di Marco Agostinelli (vedi il sito). Cuore di cane rielabora in digitale 14 minuti di un vecchio film russo attraverso affascinanti sdoppiamenti e struggenti astrazioni; Nato, che trae materiale da un’irruzione illegale in una base militare abbandonata in Germania, rimette in discussione, in forma pittorica e astratta, la presunta scientificità da videogame delle guerre del Golfo e dei Balcani. Entrambi intensificati dalle musiche di Sakamoto, diventano riflessioni sul paesaggio umano/inumano del XX secolo.
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