GABRIELE ZAMPARINI


350 minuti divisi in 7 mediometraggi da 56 minuti. Sette capitoli, da “L’alba” a “Pax Americana”, raccolgono l’America del dissenso in un’opera monumentale intitolata 21st Century. Ogni capitolo prende in considerazione diversi aspetti: geopolitici ed economici, dei media, culturali e legislativi.
L’autore, il giornalista e filmmaker Gabriele Zamparini, con una Dvcam Sony da settembre 2002 a maggio 2003 è andato ad ascoltare il corrispondente per la Bbc Greg Palast, Noam Chomsky, gli storici Howard Zinn, Timothy Mitchell e Zainad Bahrani, Gore Vidal, Arno J. Mayer oltre agli artisti pacificisti, il Nobel per la pace Desmond Tutu, Jessica Lange, Patti Smith, Angela Davis, Susan Sarandon e i movimenti che, dal crollo delle due Torri, continuano a manifestare per le strade dell’America come Veterans for peace, Amnesty International, Human Rights Watch.
Ospite d’onore, George Bush Jr in alcuni discorsi presidenziali. “Negli Stati Uniti – chiarisce il regista – l’archivio di foto e immagini della Casa Bianca non è protetto da copyright”. 21st Century, per il momento ancora straniero in Italia, viene proiettato in concorso all’International Documentary Film Festival Amsterdam 2003 il 21 e il 24 novembre, subito dopo il corto di 3 minuti sui movimenti pacifisti mondiali Boom di Michael Moore. Il film è un’autoproduzione indipendente The cat’s dream.

“21mo secolo” insiste molto sul ruolo dei media nella costruzione del consenso intorno al conflitto.
Il documentario riporta molte situazioni concrete di ‘costruzione del consenso’. Noam Chomsky per esempio parla dei sondaggi della Gallop, che rivelano come la maggior parte degli americani fosse contro l’intervento militare in Afghanistan. Questi stessi sondaggi sono stati sistematicamente tenuti nascosti all’opinione pubblica.
Si parla anche di “media concentration”: l’analista politico Norman Solomon racconta come dal 1980 ad oggi i complessi mediatici americani siano scesi da 50 a sei.

Sei andato a filmare le manifestazioni di piazza…
Tre in particolare. A Washington Dc., i cortei del 26 ottobre 2002 e del 18 gennaio 2003, giorno dell’anniversario della nascita di Martin Luther King. In occasione della seconda, la National Public Radio e il ‘New York Times’ hanno riportato false dichiarazioni in cui gli organizzatori si dicevano dispiaciuti che la marcia non fosse riuscita. Il ‘Washington Post’ riportava nello stesso giorno i numeri di una partecipazione pubblica senza precedenti. Sono così andato a intervistare gli organizzatori e mi sono fatto raccontare le cose direttamente dalla fonte. La terza manifestazione è quella a New York del 15 febbraio 2003.

Si parla anche dell’influsso dell’industria bellica sui mass media e sulla politica.
Nel ’61, durante il suo discorso come presidente uscente, Eisenhower insistette sui pericoli per la democrazia occidentale dovuti alla crescita inarrestabile dell’industria degli armamenti la quale, insieme all’establishment militare, influenza la vita economica, politica e spirituale.
Se da una parte Eisenhower riconosceva l’esigenza imperativa di tale sviluppo, dall’altra ne vedeva le gravi conseguenze.
Oggi, a quel complesso militar-industriale, secondo intellettuali americani come Chomsky, Zinn e altri, si aggiunge il settore dell’informazione: nelle mani di pochi gruppi finanziari, sottoposta a censura e autocensura, e quindi perfetta per costruire consenso attorno alle guerre.

Riporti anche voci di associazioni di ex militari?
Sì, non c’è nessuno che odi maggiormente la guerra di coloro che l’hanno fatta. Uno di questi era lo stesso Eisenhower, comandante supremo delle forze alleate durante la II guerra mondiale. Tra gli intervistati c’è David Cline, presidente dell’associazione Veterans for Peace, che racconta la sua esperienza in Vietnam: fu chiamato alle armi a 19 anni, venne presto ferito ad un polmone e nonostante ciò lo costrinsero a tornare a combattere in Vietnam. Conosce la frase “Armiamoci e partite”? Intanto l’organizzazione “Iraq Body Count” ha già calcolato il numero delle vittime civili in Iraq fino a questo momento: tra le 8.000 e 10.000.

Come hai costruito il film?
Non c’è una voce narrante e un punto di vista univoco: ho cercato di comporre un grande puzzle di voci che si connettono fra loro e forniscono allo spettatore alcuni strumenti per costruire una critica più fondata. Non parlo di cospirazioni, non costruisco teorie, al massimo espongo coincidenze.

autore
20 Novembre 2003

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