Ibiza: un laboratorio sociologico in cui si contaminano stili e forme di vita diverse. Luogo di sperimentazioni e “distretto del piacere” in cui ogni forma di divertimento è merce da acquistare.
Qui, immenso frullatore di vecchi freaks e ravers, hascish e droghe sintetiche, Gabriele Salvatores ha girato Amnèsia, il suo nuovo film prodotto da Maurizio Totti per Colorado Film (Italia) e Alquimia Cinema (Spagna), nelle sale dall’8 marzo.
Tra gli interpreti Diego Abatantuono, Sergio Rubini, Martina Stella, Alessandra Martines e il nuovo talento del cinema iberico: il madrileno Ruben Ochandiano, classe 1980, sguardo torvo e corpo anfetaminico.
Sepulveda ieri parlava della gestazione del suo film come di una necessità. È così anche per Amnèsia?
Sepulveda ha citato un requisito fondamentale per la realizzazione di una pellicola. L’altro è la sincerità. Amnèsia è nato dopo una visita a Ibiza: un mio amico mi portò a un funerale di un vecchio hippy morto in un incidente stradale. C’era gente dai 16 ai 60 anni, tutti molto diversi tra loro ma uniti da un filo rosso: la non omologazione. Questo mi ha colpito e spinto ad una riflessione. La gestazione del film ha richiesto molto tempo. Io e lo sceneggiatore Andrea Garello abbiamo riscritto la sceneggiatura più volte.
Una riflessione in cui alla fine rispunta la famiglia…
Amnèsia non è un’indagine sociologica sulla famiglia. Sono partito dalla constatazione che la piramide di valori (la famiglia, il partito) che reggeva qualche tempo fa è saltata. Il messaggio finale del film è “siamo a pezzi ma forse è possibile trovare altri modi per stare insieme”, altri schemi della famiglia, della politica, diversi da quelli tradizionali, fuori dalla morale comune.
Qualcuno ha già fatto il nome di Tarantino come riferimento alla struttura narrativa di Amnèsia.
Più che a Tarantino ho pensato a Rapina a mano armata di Kubrick, a Rashomon di Kurosawa, poi anche al computer che permette di visualizzare sullo schermo più finestre contemporaneamente. Sono convinto che non è più possibile raccontare la realtà in modo unitario: la scelta di una struttura narrativa non lineare deriva da qui. Invece la contaminazione di vari generi era presente anche in Nirvana e Sud. Di solito nei film corali si usa il montaggio alternato, in Amnèsia invece si racconta una storia alla volta lasciando al pubblico la libertà di montarsi il proprio film. È un metodo che ho già usato a teatro per Amanti. I personaggi sono divisi, non comunicano tra loro e a questa difficoltà relazionale corrisponde spesso la divisione dello schermo in più parti. La parte più sperimentale è senz’altro il montaggio.
Parliamo delle musiche del film: ha usato My secret life di Leonard Cohen e Strawberry fields dei Beatles…
È da quando ho visto I compari di Robert Altman che desidero usare un pezzo di Cohen per un mio film. Le parole del suo pezzo calzano alla perfezione alle storie dei personaggi. La canzone dei Beatles che dice “Nothing is real and nothing to get hung about” l’avevo già citata in Nirvana. In Amnèsia mi piaceva l’idea di legarla alla figura del trafficante di cocaina americano per dargli così un mondo poetico.
Vuole chiarire una volta per tutte l’enigma di Cromosoma Calcutta, il suo progetto mai realizzato?
L’idea risale a 5 anni fa, l’abbiamo portata avanti in contemporanea a Denti. Ma non si farà più perché è un film costoso e dalla storia molto complessa, girato in tre epoche diverse tra gli Usa e l’India. Questi elementi non si accordano con le regole del mercato americano in cui una pellicola ad alto budget deve essere semplice. Per cui, piuttosto che snaturare il libro di Amitav Ghosh abbiamo rinunciato. Il mio prossimo film sarà l’adattamento del romanzo Non ho paura di Niccolò Ammaniti per cui stiamo facendo il casting. Poi, con la Colorado Film, abbiamo anche acquistato i diritti di Per amore di una donna di Mel Shalew da cui è tratta la frase che apre Amnèsia.
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