“Quo vadis, baby?” chiede Marlon Brando a Maria Schneider in Ultimo tango a Parigi. La stessa domanda piomba nella vita di Giorgia e spalanca la porta sul passato. La spinge negli angoli bui dei segreti di famiglia, verso il triangolo tra lei, la sorella, aspirante attrice morta suicida 16 anni prima, e il padre, uomo burbero, chiuso in se stesso e nell’alcool, che ha visto la moglie morire.
Gabriele Salvatores torna sugli schermi con una figura di donna intensa, una detective che lavora nell’agenzia paterna, spia coppie clandestine e divide la scatoletta con il gatto in una casa dai posacenere pieni di cicche. Interpretata dalla cantante Angela Baraldi, è l’anima di Quo vadis, baby?, un noir zeppo di riferimenti a capolavori del cinema, M- il mostro di Düsseldorf di Fritz Lang su tutti.
Prodotto da Maurizio Totti con un budget di 3 milioni di euro, girato in HD tra Bologna e Roma, inaugura la nuova linea di letteratura e cinema della ColoradoNoir. E’ infatti tratto dall’omonimo libro della bolognese Grazia Verasani che, entusiasta, paragona il regista al bassista Jaco Pastorius per l’essenzialità e a Chat Baker per il tocco malinconico. Il film con Claudia Zanella, Luigi Maria Burruano e Gigio Alberti esce venerdì prossimo in 250 copie distribuito da Medusa.
Come descriverebbe il personaggio di Giorgia, la protagonista?
E’ un personaggio post punk e politicamente scorretto. Una 40enne che beve, fuma, vive sola e sceglie i suoi partner. E’ quel tipo di donna che mi ha accompagnato nella vita. Per questo sono riuscito a raccontarla con onestà. Così come, per lavoro, conosco l’altra figura femminile del film, una ventenne che insegue un sogno, vede il cinema puro dentro di sé ma poi si accorge che la realtà è diversa.
Come è arrivato ad Angela Baraldi per il ruolo di Giorgia?
Cercavo una dimensione naif in cui ognuno degli attori mi fornisse elementi personali, quasi biografici. Angela ha messo molto di sé nel personaggio, la gestualità prima di tutto. Forse con una professionista non avrei raggiunto gli stessi risultati. E’ un volto poco noto. Sceglierla è stato quasi un atto politico.
“Quo vadis, baby?” è tratto da un libro come “Io non ho paura”. Cosa è cambiato nel lavoro di adattamento?
Io non ho paura partiva da un romanzo fortemente cinematografico. Lavorare su Quo vadis, baby? è stato più difficile perché Grazia Verasani ha usato il meccanismo narrativo del flusso di coscienza. Dai tempi di Cromosoma Calcutta (progetto di film tratto da Amitav Ghosh mai realizzato ndr) mi porto dietro una teoria: se davvero vuoi far conoscere qualcosa a qualcuno non devi raccontarla ma lasciare che sia l’interlocutore a scoprirla. Così in Quo vadis ho chiesto al pubblico di vestire i panni di un detective, di impegnarsi attivamente. Gli ho affidato l’ultimo tassello della storia, un elemento di cui nessun personaggio è al corrente. E’ una dichiarazione di fiducia e di amore.
Ci parla dello stile visuale del film.
Lo scontro tra un padre e le sue figlie è qualcosa di antico e la cifra visiva del film è slegata da connotazioni temporali precise. La giacca indossata da Angela/Giorgia potrebbe essere quella di Al Pacino in Scarface. Ho sperimentato sulla soggettiva mettendo una videocamera digitale sulla testa di un attore in modo che fosse lui a scegliere le inquadrature. Ho girato alcune scene di sesso, le prime della mia carriera, con un’unica inquadratura, un piano sequenza molto pudico.
Nella colonna sonora ci sono brani della PFM, dei Talking Heads e dei Ramones. Come le ha scelte?
Ho lavorato con Ezio Bosso attribuendo alla colonna sonora la funzione di sguardo autonomo che si inserisce nelle pieghe della storia. Le musiche originali composte da Ezio sono eseguite da 4 sax, una chitarra elettrica, un piano e un contrabbasso. Abbiamo registrato negli studi di Philip Glass a New York con i suoi strumentisti.
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