Gabriele Salvatores: “1960” e oltre, così nasce l’Heimat italiano


VENEZIA – Nascerà un Heimat italiano, la storia di un bambino nato nel 1950, che cresce osservando con i suoi occhi ingenui e semplici, l’Italia che cambia. L’idea è venuta a Gabriele Salvatores proprio qui alla Mostra del cinema, dove è giurato e dove presenta fuori concorso 1960, primo capitolo di questa storia d’Italia. Un film davvero originale perché diventa fiction a partire da soli materiali di repertorio, grazie alla voce narrante di Giuseppe Cederna. Appunto quel bambino meridionale che sogna e immagina la Milano moderna e tentacolare dove suo fratello maggiore, Rosario, è emigrato dal piccolo paese della Lucania e da dove gli arrivano lettere che parlano di cantanti rock, televisori, motociclette, ragazze bionde e case di venti piani. “Questa è la prima volta che racconto una storia senza girare nemmeno un metro di pellicola: concentrandomi su un anno, il 1960, visto attraverso gli occhi di un bambino. Fu proprio allora, per il mio decimo compleanno, che feci il mio primo spettacolino e i miei genitori furono talmente entusiasti che decisi da grande di raccontare storie di mestiere. Non è memoria, non è nostalgia: è trovare i germi di quello che siamo oggi. Vedere cosa c’era sotto quello che viene ricordato come il boom economico”, dice il regista napoletano-milanese. Stamattina si è svegliato alle 8, per andare a vedere il film di Tsui Hark. Ma ha fatto male i suoi calcoli, “non sono riuscito a dormire, anzi mi sento come se mi fossi fatto un acido”.

Prodotto dall’Offside di Mario Gianani con Rai Cinema, 1960, che andrà in onda il 16 ottobre su Raitre, subito dopo una puntata di “Che tempo che fa” di Fazio tutta dedicata proprio ai “favolosi” anni ’60, è costruito con le immagini delle Teche Rai (con il contributo di filmati dell’archivio di Cinecittà Luce sulle Olimpiadi di Roma): Adriano Celentano, Giorgio Gaber, Federico Fellini, Albero Sordi, Vittorio Gassman, Mina sono le facce di un’Italia in rapido mutamento, dove si rompono gli schemi, ma dove ancora resistono le realtà rurali e la vita del vicolo in una Napoli che pare Tunisi. E’ l’anno della Dolce vita e vediamo Fellini reduce da Cannes – dove L’avventura di Antonioni era stato strapazzato – scherzare sull’impatto che il film ha avuto su tanti spettatori, ma anche l’anno del governo Tambroni e dell’alluvione del Polesine. Ed è l’anno del grande esodo dei “terroni” verso Nord e di Rocco e i suoi fratelli. E’ un’Italia ancora totalmente immersa nella cultura patriarcale e maschilista, dove l’ideale era trovare una moglie “non troppo intelligente” e la donna al volante era ancora uno spauracchio.

L’ha colpita questo maschilismo?
Veniamo da lì e se ne vedono ancora oggi i segnali. Ma è interessante anche notare quante sciocchezze dicevano i giovani di allora. Quando si dice che i giovani di oggi sono stupidi, ci si dimentica totalmente del passato.

Sono già passati cinquant’anni.
Vorrei dire sono passati “solo” cinquant’anni. L’Italia è quello che è, un paese dove la coscienza nazionale è scarsa. Mentre in America c’era Andy Warhol e a Londra esplodevano i Beatles e Mary Quant, da noi nasceva il consumismo che sa produrre attraverso i media desideri forti e spesso inutili. Sono due cose che servono ai governanti, di destra o di sinistra che siano, per avere in mano le persone: la paura e il desideri sbagliati che lasciano un senso perenne di insoddisfazione. Però se allora la Fiat sfornava un’auto al minuto, oggi le fabbriche chiudono. La definizione più bella è quella di Celentano quando racconta che inventò il suo stile perché cantava fuori tempo e tutti lo applaudivano. È quello che dovrebbe fare sempre un artista: cantare fuori tempo.

Come mai il documentario è tornato tanto importante per i cineasti di oggi?
C’è una necessità di cercare la verità. E c’è il bisogno di tenere allenata la memoria. Ma la memoria si può anche manipolare, montando in un certo modo il materiale. Si potrebbe far sparire l’Olocausto lavorando sul montaggio. Oppure pensate al cormorano con le ali nere di petrolio che divenne il simbolo della guerra del Golfo: ebbene, quell’immagine in realtà veniva dalle Shetland. Io, con Massimo Fiocchi e Michele Astori, ho cercato di agire con rispetto e tentando uno sguardo diverso da quello ufficiale, che ci passano i media. L’unità d’Italia risale al 1861 ma chissà se è stata fatta davvero.

Il film andrà in tv e a novembre uscirà in dvd. E’ un bel risultato.
Ne sono contento. Iin fondo la tv dovrebbe fare questo, anche se in realtà lo fa più il cinema con i documentari. E ancora di più internet, con Youtube e i social network.

Come giurato della Mostra, che idea si è fatto?
Ho notato che al centro di molti film c’è il tema del doppio, si vede che c’è bisogno di affrontare questo tema.

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05 Settembre 2010

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