Gabriele Muccino: Uomini sull’orlo di una crisi di nervi


Non sarà un film generazionale nelle intenzioni, ma nei fatti è diventato il manifesto sentimentale dei trentenni di ieri, che oggi sfiorano i quaranta e sono costretti, dal tempo che passa e da nuove crisi, a fare un minimo di bilancio. Gabriele Muccino torna sui suoi passi con Baciami ancora, l’atteso seguito del film che lo trasformò in regista di culto, quasi dieci anni orsono con 16 mln € di incasso e vari premi, nonché dibattiti e spaccature. Ma se L’ultimo bacio era il racconto della voglia di fuga dai legami e dalle responsabilità, questo seguito, che sarà nelle sale dal 29 gennaio con Medusa, cerca di rimettere insieme i cocci. Così dopo tanti tradimenti, Carlo (Stefano Accorsi) è pronto a riconquistare il cuore di Giulia (Vittoria Puccini, nel ruolo che fu di Giovanna Mezzogiorno). E attorno alla “storia di tutte le storie d’amore”, come recita la locandina, ruotano gli amici di sempre, tutti uomini sull’orlo di una crisi di nervi: l’arrivato Marco (Pierfrancesco Favino) che sta perdendo la moglie Veronica (Daniela Piazza) a cui ha dato tutto tranne che un figlio; il depresso Paolo (Claudio Santamaria) che cerca protezione e sostegno nella coriacea Livia (Sabrina Impacciatore), che sta crescendosi un figlio da sola dopo che Adriano (Giorgio Pasotti) l’ha piantata per andarsene in Colombia, dove si è fatto anche due anni di carcere. Lui adesso vorrebbe riazzerare tutto e conquistarsi una paternità mai vissuta, mentre Alberto (Marco Cocci) ha ancora voglia di esplorare il mondo (e le donne). Al cast “classico” si aggiungono i nuovi personaggi di Adriano Giannini, l’attore sfigato ma compagno affettuoso di Giulia, e Valeria Bruni Tedeschi, una moglie abbandonata dal marito che però non ha voglia di arrendersi. Il tutto come in un teleromanzo di lusso commentato dalla canzone che Jovanotti ha scritto apposta come title track.

 

Quanto è cambiato Gabriele Muccino dai tempi dell’Ultimo bacio.

Allora ero un regista esordiente che lavorava con giovani attori, oggi siamo uomini forti e con una certa esperienza. Nel frattempo per me c’è stata anche la trasferta americana e i film con Will Smith, un percorso che ho affrontato con leggerezza proprio perché sapevo che potevo sempre tornare indietro. A Hollywood, in un mondo molto competitivo, ho imparato a essere più umile e sono diventato meno narciso.

 

E’ cambiato molto anche il mondo occidentale, anche se “Baciami ancora” sembra piuttosto concentrato sulle nevrosi private e lascia poco spazio all’analisi della società.

L’ultimo bacio è stato girato prima dell’attentato alle Twin Towers, in una fase di ottimismo clintoniano ed era un film cinico, che parlava della voglia di scappare. Oggi con la situazione gravissima dei cambiamenti climatici e il terrorismo alle porte di casa, credo che bisogna cercare il senso delle cose nella semplicità di quello che ci fa sentire vivi.

 

Ovvero in un recupero dei valori familiari.

La famiglia è il nucleo ancestrale della società, da lì viene tutto. Però non credo di raccontare una famiglia convenzionale, tutt’altro. Ogni famiglia è un’avventura nuova, ogni personaggio fa scelte diverse, che non vorrei rivelare a chi non ha ancora visto il film. Ma si parla di tante cose, di sterilità, di maschilismo, di suicidio. C’è chi cerca di recuperare un figlio perduto e chi preferisce restare un dongiovanni nomade.

 

Cosa risponde a chi considera questo film un manifesto generazionale?

Per me quest’accusa è un incubo. Non mi sento un sociologo né un conoscitore della vita, non voglio salire in cattedra, altrimenti non avrei fatto tanti sbagli. Descrivo quello che vedo, dunque i miei film non sono assiomi sulla mia generazione… Parlo di me, delle persone che conosco, di cose che ho letto nei libri, per esempio in un libro di Kureishi che mi colpì molto. Parlo dell’invecchiare senza crescere, come canta Jacques Brel.

 

Il film parla molto anche di maternità e paternità, declinata in varie forme, compresa la famiglia allargata.

Parla del senso della vita in una società che fagocita tutto troppo in fretta. I miei personaggi devono vincere la propria paura della solitudine, verbalizzare i propri sentimenti, fare ammenda degli errori commessi, imparare a chiedere scusa, trasmettere qualcosa ai propri figli. Sono personaggi vibranti, che non vogliono arrendersi. Oggi però, rispetto a dieci anni fa, sentono di esistere come è accaduto anche a me. Non devono più fuggire, correre, urlare per affermare la propria esistenza.

 

Anche le donne sono mutate, sembrano meno dure e più disposte a lasciarsi andare a comportamenti istintivi.

Sicuramente le donne sono più vicine al senso della vita, però la nostra società chiede moltissimo alle donne, devono dare tanto alla famiglia e dare tantissimo alla carriera e questo le nevrotizza e questa nevrosi stordisce gli uomini. E’ come se avessimo smarrito i codici di accesso al femminile, però la comunicazione tra i due sessi era un problema già ai tempi di Plinio.

 

Tra dieci anni racconterà gli stessi personaggi alla soglia dei 50?

Se avrò imparato altre cose, ve le racconterò…

 

autore
26 Gennaio 2010

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