Una laurea in Economia e commercio a Roma, un lavoro come revisore dei conti presso una casa farmaceutica multinazionale, una carriera ben avviata e altrettanto retribuita .Eppure, l’uomo ormai trentaduenne, lascia tutto e va a Lodz, in Polonia. Lì si iscrive alla scuola di cinema dove insegna Krysztof Kieslowski e dove è stato allievo Roman Polanski. Non conosce il polacco e quindi registra le prime lezioni con la videocamera per poi farsele tradurre a casa da un interprete. Dopo tre anni, diploma e saggio di regia alla mano, torna in Italia pronto ad affrontare una nuova vita.
Sembra il soggetto di un film ma non lo è. E’ il percorso di Gabriele Iacovone, regista al suo primo lungometraggio con Non sono io, un articolo 8 prodotto da Carisma cinematografica con oltre 2 miliardi di finanziamento in vecchie lire e già venduto da Buskin film alla Confederazione russa.
Il viaggio, l’identità, la capacità di fermarsi e ripartire da zero, sono anche i temi del suo debutto cinematografico. Sullo sfondo di una Polonia contemporanea si agita la storia di Matteo (Antonio Berardinelli), un giovane siciliano in fuga dalla sua terra perché accusato di un omicidio che non ha commesso. A Lodz, grazie all’aiuto di un suo connazionale (Andrea Cambi), trova una nuova vita. Ma il passato può tornare, e Matteo sarà costretto ad affrontarlo.
Il film, premiato all’ultimo festival di Salerno come migliore lungometraggio, esce venerdì 14 febbraio in Puglia (3 copie) e arriva a Roma il 21.
Dove nasce l’idea di “Non sono io”?
Dalla cronaca, la mafia di cui si parla è una realtà di Lodz. La città per anni è stata terrorizzata da gang che chiedevano il pizzo ai negozianti. Inoltre, dopo la caduta del Muro, si è verificato un fenomeno migratorio al contrario: italiani che si sono trasferiti in Polonia. Un altro fatto di cronaca è stato fonte di ispirazione: la cattura in quel paese di un gruppo di mafiosi italiani. Mi interessava costruire, sullo sfondo di un mondo cruento, la storia di Matteo, un uomo che da apprendista mafioso riesce, grazie all’amicizia e all’amore, a ricostruirsi una vita.
Che tipo di mafia è quella polacca?
Si tratta di un fenomeno minore rispetto a quello italiano. La nuova mafia polacca scimmiotta e imita quella americana. Il volume degli affari naturalmente si concentra a Varsavia, non a Lodz.
La fotografia ha un effetto straniante?
Ho proceduto per sottrazione, ho tolto colore. Volevo che risaltasse un grigio uniforme.
E la colonna sonora?
Ho chiesto al compositore Valerio Gallocurcio che la musica non fosse illustrativa ma aggiungesse drammaticità a un film che è thriller e dramma psicologico.
Prossimi progetti?
Sto preparando il mio secondo lungometraggio tratto dal libro di Felice Benuzzi Fuga sul Kenya. E’ la storia vera di tre italiani in un campo di prigionia inglese alle pendici del monte. Al protagonista verrà in mente di fuggire dal campo per poi tornare. La fuga è essenziale per ritrovare se stessi. Il film avrà una sua dimensione onirica, per la natura così dominante in Africa
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