Fuocoammare torna a casa

Grande emozione per la prima proiezione del film sull'isola. E Gianfranco Rosi riceve la cittadinanza onoraria di Lampedusa


LAMPEDUSA – “Berlino, con i suoi sette giurati, non era nulla, qui c’è l’isola intera a giudicare il film e io sono veramente emozionato”. Così Gianfranco Rosi ha salutato i lampedusani accorsi in tanti davanti allo schermo allestito in Piazza Garibaldi, lungo la via principale, di case basse e tutte uguali, rosa e gialle. Uno schermo all’aperto, perché qui il cinema non c’è. Era la prima volta che si vedeva Fuocoammare, che nel resto d’Italia ha raggiunto già 150mila persone, una cifra importante per un documentario, nei luoghi dove è stato concepito e girato, in un anno e mezzo di vita quotidiana a contatto con la gente che vive su quest’isola più vicina alla Libia che all’Italia e che da anni fa i conti con l’emergenza dei nostri tempi senza poter mai chiudere gli occhi.

I numeri di questo esodo biblico li conosciamo, in fondo sono fredde statistiche, ma vedere le cose da vicino è un altro conto. Così, mentre il Papa va a Lesbo ad abbracciare i profughi, il film italiano che ha vinto l’Orso a Berlino, venduto in 64 paesi, torna finalmente a casa. Rai Cinema e Luce Cinecittà hanno fortemente voluto questa proiezione e i lampedusani hanno risposto in massa, “con la generosità con cui accolgono tutti”, come dice l’ad del Luce Roberto Cicutto. Posti in piedi venerdì sera e una seconda proiezione sabato, anche per i pescatori che il giorno prima erano al lavoro in mare. La piazza gremita, nonostante l’umidità della sera, gli occhi lucidi e l’emozione tangibile, i bambini scatenati che si riconoscono nel piccolo Samuele, esperto costruttore di fionde, che ci guida in un’isola d’inverno, lontana dall’immagine turistica. Sul palco, prima del film che inchioderà tutti per due ore, salgono tutti i protagonisti: Samuele con lo sguardo furbetto, la Zia Maria, il dj Pippo, l’aiuto regista Peppino Del Volgo, il montatore Jacopo Quadri. E naturalmente il dottor Pietro Bartolo, instancabile testimone di questa tragedia, un uomo che ha visto centinaia di morti, che ha fatto centinaia di “ispezioni cadaveriche”, che è entrato in una stiva dove si camminava sui cadaveri, senza perdere un grammo della sua grande umanità. E anche adesso che è l’eroe del film e l’anima di questo grande progetto dice con semplicità disarmante: “Berlino, l’Orso d’oro, l’incontro con Meryl Streep, che pure era un mio mito, non mi hanno cambiato per niente. Sono e resto un medico. Per me quella è l’unica cosa che conta. Rosi per me è un genio perché ha saputo far arrivare a tutti il messaggio che da 25 anni porto avanti”.

Sul palco sale Giusi Nicolini, con la fascia tricolore e consegna la cittadinanza onoraria a Rosi “per aver reso più alto il prestigio delle isole Pelagie con un film che è un atto d’amore e che ha sensibilizzato l’opinione pubblica mondiale ai valori della solidarietà”. La sindaca parla dell’estrema delicatezza di questo regista, già Leone d’oro a Venezia con Sacro GRA, nell’accostarsi all’isola: “Oggi viene capita di più, il film racconta il dramma a mare, il coraggio, la solitudine, la grande umanità di Lampedusa”.  

“E’ un film che aiuta moltissimo, che dovrebbe viaggiare anche nei paesi dell’Africa subsahariana per far capire ai migranti a cosa vanno incontro”, aveva detto nel pomeriggio l’alto rappresentante Ue Federica Mogherini chiacchierando con Rosi, Samuele e il dottor Bartolo all’aeroporto di Lampedusa in un incontro informale, affettuoso. Mogherini era reduce da una visita alla portaerei Cavour, centro di comando della missione europea Eunav for Med. “Proviamo frustrazione e vergogna per i muri che vediamo alzare in Europa, ma dovremmo provare orgoglio per questa Italia che salva vite umane. I muri sono fatti per essere abbattuti”, aveva detto. E c’era stato il tempo per scherzare sull’Orso d’oro che Pietro Bartolo ha tenuto così a lungo sul comodino da sentirlo come un oggetto di famiglia, da accarezzare. E tutti si erano lasciati con la promessa di una proiezione di Fuocoammare a Bruxelles (già fissata quella di Strasburgo, il 27 aprile).

La sera in piazza tanti applausi per il film, anche molti africani tra gli spettatori, uomini e donne con gli occhi smarriti che rivivono la loro stessa storia nelle tragedie raccontate sullo schermo, dove si guarda in faccia la morte. Per molti lampedusani è una presa di coscienza, un pugno in faccia. “E’ una realtà che molti non conoscono, come se fosse in un altro posto del mondo, il medico è l’unico tramite”, spiega Rosi. Invece adesso hanno visto tutti. C’è chi piange e c’è chi ricorda. “Fu uno choc quando nel 2011, durante la primavera araba, i migranti erano più di noi, 7000 su 6000 abitanti – ricorda una signora – dalle mie finestre vedevo quella che chiamavamo la collina del disonore, un accampamento fatto di stracci dove vivevano senza bagni, senza cibo, pioveva e faceva freddo, era febbraio. Io giravo con i vestiti nel portabagagli della macchina e mi fermavo per regalarglieli. Cos’altro potevo fare?”. “Si spogliavano per rivestire i migranti”, dice Bartolo. Che instancabilmente sottolinea la solidarietà degli isolani. Per molti quello fu l’anno della presa di coscienza, il momento in cui dovettero scegliere tra esclusione e accoglienza. “Ci fu qualche tafferuglio – racconta un giovane di 27 anni – perché avevamo paura che ci portassero via le donne, ma alla fine prevalse l’ospitalità”.

Lo racconta bene la dottoressa Enza Malatino, la psichiatra che due volte a settimana arriva qui da Palermo per curare i molti casi di disagio mentale (tra gli isolani sono diffuse schizofrenia e altre forme di psicosi a causa della consanguineità, c’è un’incidenza doppia rispetto al continente): “L’isola è cresciuta molto negli anni, anche grazie a questo fenomeno, si è passati gradualmente dal rifiuto all’accoglienza. I migranti, che prima venivano chiamati turchi, clandestini, adesso sono sciatu meu, figli”. E poi aggiunge: “Quest’isola è l’ombelico  del mondo”. L’abbiamo incontrata, la dottoressa Malatino, al Centro Diurno del Dipartimento di Salute Mentale, dove Paolo Del Brocco, ad Rai Cinema, ha donato strumenti musicali per il gruppo di musicoterapia, una fisarmonica, una tastiera e una chitarra. Il gigantesco Salvatore De Rubeis, detto Ercole per la sua forza, e un altro Salvatore si sono messi subito a suonare applauditi da pazienti e volontari della misericordia. In regalo arriverà anche un televisore: così potranno vedere Fuocoammare che sarà trasmesso da Raitre nel prossimo autunno. Rai Cinema già da qualche anno ha donato ai bambini dell’isola la Casetta del cinema, dove possono vedere cartoni animati e altri film per ragazzi. Adesso magari arriverà anche una vera sala cinema, quella per i grandi.

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16 Aprile 2016

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