“Se rimango nella memoria di chi mi ha amato e mi ricorda, vivo lo stesso. Questa almeno è la mia tesi”. Si racconta così nel 1993 davanti ad Antonietta De Lillo e al critico Marcello Garofalo, Lucio Fulci, autore di culto e sperimentatore, protagonista al Noir del ritratto inedito realizzato da Antonietta De Lillo, Fulci Talks, in anteprima al Festival e dal 10 febbraio in TVOD su CG Digital e Chili, che prende il via proprio da quella lunga e sorprendente conversazione (ben otto ore di girato custodito in sedici betacam), che all’epoca Antonietta De Lillo utilizzò per il documentario La notte americana del DR.Lucio Fulci. Proprio quella lunga e preziosa chiacchierata, in larga parte ancora inedita, è l’oggetto del nuovo lavoro della regista che ha voluto restituire in qualche modo agli spettatori tutta la conversazione, in un’operazione di found footage e rielaborazione già sperimentata in La pazza della porta accanto con la sua conversazione con Alda Merini. “Pur partendo dallo stesso girato abbiamo dato alla luce un lavoro nuovo, diverso e inedito”, sottolinea De Lillo. “In questo nuovo lavoro ho cercato di essere invisibile, ma non per questo meno presente nel dirigere. Dietro c’è un’idea estetica che è quella del vintage e dell’analogico, c’è un lavoro artistico durato un anno, in cui, ad esempio, ogni taglio è fatto con un programma di effetti speciali, per simulare lo stacco in analogico del VHS e non perdere l’aspetto iniziale del girato”.
Rispetto a quell’inusuale incontro del 1993, la regista racconta come già il materiale stesso nascesse in maniera atipica: “Fulci non aveva di fronte una fan che amava il genere, io ero incantata da un modo diverso di fare cinema ma rappresentavo proprio quel cinema d’autore che Fulci attaccava come classe tropo popolata dalla politica e poco curiosa nei confronti degli altri, e questo ha generato una chiacchierata particolare”.
“Fulci possedeva in maniera istintiva la musicalità del cinema – continua la regista – Era un uomo curioso, innanzitutto un grande spettatore. Ma quello che a me ha affascinato del regista, è che di fronte alle sue storie e a tutti i differenti generi che si è trovato a praticare ha sempre cercato soluzioni creative”. Si considerava, infatti, un terrorista dei generi, Lucio Fulci, che in un classico film di genere riusciva a inserire temi e stili personali e a spiazzare lo spettatore. “Essendo un terrorista del genere – dice nelle immagini mostrate – metto le mine anche nelle definizioni della critica, che considera secondo convenzione, dividendo tra arte e non arte, cinema d’autore e cinema commerciale. Negli anni però alcuni film d’autore si sono rivelati cretinate, e viceversa”. Ma offre anche una sua precisa visione politica della società e del potere: “Che sono gli zombie? Sono gli uomini di potere che puoi uccidere solo sparandogli in fronte, ma è difficile perché la fronte la nascondono sempre, li vedi solo in televisione”.
Fulci talks è un viaggio non solo alla riscoperta del lato artistico di un autore eclettico, ma anche del Fulci uomo, una persona colta che ha un continuo corpo a corpo tra cinema d’autore, che un po’ patisce, e cinema di genere, vittima di incontro-scontro perenne tra ragione e inconscio che rende molto difficile classificarlo, sia a livello artistico che personale, come racconta la figlia Antonella Fulci: “Mio padre era complicato da classificare anche da parte nostra, era difficile da comprendere. Era anche una sfida con se stesso dimostrare agli altri che sapeva fare qualsiasi cosa. Io lo racchiudo in tutti i suoi auto-giudizi, come quella che si dava di “anarchico mite”. Era innanzitutto uno spettatore prima che essere un autore. Amava vedere tutti i generi ma amava tantissimo anche farli i film. Mentre stava realizzando una pellicola viveva sul set più che a casa, e in famiglia c’era un’armonia meravigliosa. Gli si poteva chiedere qualunque cosa, era sempre contento e soddisfatto. La sua non vita era quella che passava fuori dal set”.
Raccontando, poi, alcuni dietro le quinte della sua vita familiare, Antonella Fulci ricorda: “Curiosità era una parola chiave per lui. Era un appassionato totale di musica, per un periodo suonava anche la tromba, poi mia madre lo fece smettere con la scusa che io ero piccola e mi dava fastidio. Avrebbe potuto fare benissimo il produttore musicale. Ci metteva l’anima. Riguardo ai gusti era piuttosto rigido, era un talebano del jazz, per lui non esisteva altra musica. Io all’epoca ascoltavo il rock e lui mi nascondeva le puntine del giradischi”.
L’omaggio del Noir in Festival a Lucio Fulci prevede anche la proiezione di cinque suoi film cult: Una sull’altra (1969), Non si sevizia un paperino (1972), Sette note in nero (1977), Quando Alice ruppe lo specchio (1988) e il suo ultimo lavoro, Le porte del silenzio (1991). “Penso sia giusto riproporre i film di Lucio – rimarca Antonietta De Lillo – perché quel tipo di cinema, che ha ispirato autori come Tarantino, è un cinema-gioco che guarda diretto allo spettatore e in qualche modo fa anche politica”.
Il film tratto dalla graphic novel di Gipi insignito del Premio nel nome del regista di Non essere cattivo: sei i finalisti italiani. Mentre, Black Panther Award al film di Ivan Grbovic, e Menzione Speciale a De uskyldige – The Innocents
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