E’ solo all’inizio della sua nuova avventura Frédéric Boyer, il nuovo delegato generale della Quinzaine des Réalisateurs, la sezione indipendente del Festival di Cannes che si svolgerà dal 13 al 23 maggio proponendo uno sguardo curioso e fuori dagli schemi sul cinema di domani proveniente da tutto il mondo. Per ora ha svelato la sua prima selezione da direttore: 22 titoli di cui 11 opere prime, 4 documentari e tantissime prime mondiali capaci di tracciare un profilo del cinema più vitale di questi tempi. Lasciata da parte, per quest’anno, la commedia, che aveva impazzato nella selezione 2009, Frédéric Boyer racconta a CinecittàNews i motivi delle sue scelte, i suoi obiettivi e qualche rammarico per alcuni titoli che ha amato ma non ha potuto inserire nella lista dei 22 che animeranno la Quinzaine.
Che quadro emerge dalla selezione 2010 della Quinzaine?
C’è una potenza creativa e una vitalità cinematografica forte in diverse regioni del mondo. Abbiamo molti film dell’America del Sud e dell’America Centrale, mentre pochi vengono dall’Asia. Abbiamo anche visto pochi film buoni dell’Est europeo. L’Europa e l’Italia invece sono molto rappresentate e poi c’è l’Africa, con il film di apertura Benda Bilili! che è di produzione francese ma tutto girato in Africa, appunto.
E’ il suo primo anno alla guida della Quinzaine des Réalisateurs. Quali sono le linee di continuità con il passato?
In continuità con la direzione di Olivier Père c’è l’interesse per tutti i generi del cinema, per la diversità, per il confronto. Quest’anno nella selezione abbiamo di tutto, dall’horror uruguayano La casa muda di Gustavo Hernandez allo spionaggio con Everything Will Be Fine di Christoffer Boe, dal film carcerario tedesco Picco di Philip Koch all’opera poetica Le quattro volte di Michelangelo Frammartino, fino al cinema classico di Diego Lerman con La mirada invisible.
Che cosa l’ha affascinata del film di Michelangelo Frammartino?
Siamo fieri e onorati di averlo alla Quinzaine. Le quattro volte è un’opera affascinante, quasi muta, che si svolge in Calabria e che lavora sul tempo, sul suono, sull’humour. Un viaggio inquieto che riflette sul tempo che passa, sulla progressione.
C’erano altri film italiani che avete apprezzato ma per qualche motivo non avete potuto selezionare?
Abbiamo visto parecchie altre cose italiane che ci sono piaciute, ma non avevamo lo spazio per prenderle. Ad esempio Gorbaciov, il cassiere col vizio del gioco di Stefano Incerti con Toni Servillo: un film di genere e di attori completamente diverso da Le quattro volte, ma molto interessante. Se Frammartino non ci avesse confermato la sua presenza lo avremmo certamente selezionato.
Come giudica lo stato di salute del cinema italiano attuale?
Sono venuto a Roma e ho visto circa 40 film di buon livello, tra cui molte opere prime. Sono rimasto stupito, la crisi non ha impedito di fare molti film interessanti, sia di attori che documentari, e noto una certa vitalità del vostro cinema. Spero di poter avere un altro italiano il prossimo anno.
Ci sono temi ricorrenti in questa selezione?
C’è molta politica, ad esempio con il belga Illégal di Olivier Masset-Depasse che parla dei sans papiers, o con lo straordinario documentario di Jean-Stéphane Bron Cleveland vs Wall Street, appassionante ricostruzione di un processo sulla questione dei subprime. Quello della Quinzaine è uno sguardo sul mondo contemporaneo.
Al contrario della scorsa edizione quest’anno non ci sono commedie.
Come il mio predecessore adoro la commedia, è il genere più difficile da fare. Ad esempio ho amato molto Soul Kitchen di Fatih Akin, ma è non è semplice trovare una commedia di buona qualità che possa entrare in una selezione come quella della Quinzaine. Siamo esigenti, e accanto all’appeal commerciale devono esserci altri elementi di qualità cinematografica.
Un’altra cosa che salta all’occhio è l’abbondanza di opere prime.
Sì, ce ne sono 11 su 22, ma non è stata una scelta programmatica. E’ anche vero che non abbiamo interesse a prendere cineasti già affermati, tranne in casi di film molto personali, magari girati in Super8. Il nostro ruolo è quello di proporre il cinema di domani e non avrebbe senso puntare su opere di registi già conosciuti che sono passati ai grandi festival.
Come ha scelto i due eventi speciali?
Frederik Wiseman è un regista molto interessante e sono felice che quest’anno verrà alla Quinzaine per la prima volta. La sua sarà una conferenza stampa molto importante. Stones in Exile di Stephen Kijak è anch’esso un lavoro notevole: racconta l’avventura appassionante della realizzazione dell’album “Exile on Main Street”, pubblicato nel 1972 e registrato durante l’esilio degli Stones in Francia, perché in patria avevano avuto problemi col fisco. E’ considerato uno dei migliori album rock della storia della musica.
Cosa si augura per questa 43/a edizione?
E’ una selezione di film che amo e che difenderò, che ho voglia di prestare al pubblico, come se fossero libri o dischi che mi sono piaciuti. Sono film molto diversi a cui auguro un grande successo, vorrei che viaggiassero e trovassero una distribuzione. Prima di fare la selezione ero inquieto, temevo di trovare un livello basso, invece il cinema non è affatto morto e con la Quinzaine lo dimostreremo.
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