Fratelli Manetti


E’ un set atipico quello di Piano 17, nuovo film dei fratelli Manetti. Non ci sono macchinisti, operatori, truccatori. Per lo meno non solo. Tutti qui hanno una seconda, terza e, se serve, una quarta identità. Anche il regista all’occorrenza si trasforma in aiutante e guida per 5 ore solo per riportare la macchina del cognato, usata per le riprese, al legittimo proprietario. Succede che la truccatrice faccia le pulizie tra una spennellata di fard e l’altra o porti dissetanti bicchieri d’acqua agli attori tra un ciak e l’altro. Perché Piano 17 non è un progetto commerciale ma l’impresa di quelli che si definiscono 3 folli: i registi Antonio e Marco Manetti e l’attore Giampiero Morelli. Autoprodotto con circa 300mila euro e distribuito da Moviemax, il film è la storia di Mancini (Giampaolo Morelli), un ragazzo incaricato da un losco committente di posizionare una bomba all’interno di una banca per distruggere alcuni importanti documenti. Camuffato da uomo delle pulizie e con la bomba innescata da un timer, rimane bloccato in ascensore insieme a due impiegati (Elisabetta Rocchetti e Giuseppe Soleri). All’esterno dell’edificio due dei suoi complici, Pittana e Borgia (Enrico Silvestrin e Antonino Iuorio) tengono sotto controllo la situazione, in attesa che l’uomo porti a termine la sua missione. In una corsa contro il tempo Mancini comincia a rendersi conto che forse i suoi complici non lo stanno aiutando come dovrebbero…

Dopo l’esperienza del telefilm “L’Ispettore Coliandro” e di qualche video musicale tornate al cinema. E’ più facile ora che vi siete affermati?
Finora la nostra carriera è stata casuale nel senso che abbiamo fatto sempre quello che ci andava guidati dall’istinto. Poi l’incontro con Verdone e Cecchi Gori per Zora la vampira ha rappresentato un po’ il punto di non ritorno. Abbiamo imparato molto: anzitutto a non prendere troppo sul serio questo lavoro e poi a cercare di capirci subito con i produttori.

Non è stata una bella esperienza?
Ha avuto i suoi lati positivi e negativi ma ci ha sicuramente insegnato a essere più scanzonati. Ora quando scriviamo una sceneggiatura non lo facciamo più con l’ansia che debba essere la migliore della nostra vita. Basta che ci piaccia.

Com’è nata quella di “Piano 17”?
Da due idee messe insieme. Sono 2 anni che vogliamo realizzare qualcosa con Giampaolo Morelli ma non se n’è mai fatto niente. Per mesi abbiamo pensato al soggetto ma non veniva fuori niente di interessante. Ci chiamavamo ogni volta che ci veniva un’idea anche negli orari più strani. Alla fine è stato Giampaolo a farsi venire in mente la storia: 2 o 3 persone che rimangono chiuse in un ascensore con una bomba innescata. A quel punto io e Antonio abbiamo pensato che sarebbe stato perfetto come plot per una sceneggiatura che avevamo nel cassetto da anni. Così abbiamo scritto i dialoghi e basta.

La produzione è stata altrettanto facile?
E’ l’aspetto di cui andiamo più fieri. Il film nasce come un gioco: qui siamo tutti a paga zero. Ci siamo autoprodotti perché volevamo che Piano 17 rimanesse esattamente come lo avevamo ideato noi. Niente pressioni, niente aspettative da parte di esterni. Solo noi e i nostri amici. Sostanzialmente ci siamo presi una pausa dal vero lavoro e prendiamo una boccata d’aria girando un film tra amici. Anzi lo dico anche agli altri registi: concedetevi di giocare ogni tanto e fate un film con poco come quando eravate alle prime armi.

Quindi un divertissement estivo?
Principalmente. Ci possiamo permettere di fare quello che ci viene in mente. Intanto realizziamo un film con l’ottica dello spettatore perché pensiamo che se manca il rapporto col pubblico viene a mancare proprio il cinema.

E cosa vuole il pubblico?
Pensiamo che per fare un grande film servano 3 ingredienti: un grande soggetto, un grande regista e grandi attori. Quindi noi siamo a posto. Scherzi a parte sulla carta ci piacciono film con scene lunghe, ma poi facciamo tutto il contrario. Questa in particolare è una pellicola molto chiacchierata. Però è un film di genere e visto che in Italia non se ne fanno più, in molti si sono fatti coinvolgere nel progetto per questo.

C’è anche una comparsata di Valerio Mastandrea.
Si. Ogni volta diciamo stavolta chiamiamo Valerio per questo ruolo. Poi finisce in un cameo. Ma prima o poi vorremmo fargli fare qualcosa si più di una semplice amichevole partecipazione.

A chi vi siete ispirati?
Esistono tre tipi di registi: quelli che citano, quelli che copiano e quelli che citano inconsciamente, come noi. Ci capita a volte di girare delle scene e di cogliere la citazione solo giorni dopo. Il modello inarrivabile è quello di Michael Mann, del suo poliziesco urbano. Heat la sfida è probabilmente il nostro film preferito. Per i personaggi abbiamo lasciato fare agli attori quasi in tutto. A volte abbiamo sfruttato delle loro peculiarità. Ad esempio Borgia è un napoletano che odia Napoli proprio come Antonino Iuorio. Mentre per Pittana all’inizio ci siamo rifatti al Jack Bauer della serie 24, il telefilm con Kiefer Sutherland. Ci piaceva come impugna la pistola e l’abbiamo fatto fare anche a Enrico Silvestrin. Poi abbiamo realizzato che Pittana è cattivo e Bauer buono e allora abbiamo cambiato. Adesso quando giriamo non gli diciamo più “Enrico fallo così. Sì, sì uguale a Bauer”, ma “Enrico pensa a Terminator…sei come Terminator…anzi come Predator”.

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21 Febbraio 2006

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