Francesco Tavella: “Cocoricò Tapes è un film generazionale”

Presentato nel Concorso Internazionale Documentari del 15mo Ortigia Film Festival, Cocoricò Tapes di Francesco Tavella ci racconta dell’iconica discoteca di Riccione che creò il concetto di locale-not


Un flusso di immagini e musica che ci riporta indietro di 30 anni, in quel 1993, quando il giovane Loris Riccardi diventa l’art director del locale notturno destinato ad essere il più trasgressivo d’Italia: il Cocoricò. Presentato nel Concorso Internazionale Documentari del 15mo Ortigia Film FestivalCocoricò Tapes ci racconta dell’iconica discoteca di Riccione che creò il concetto di locale-notturno-teatro trasformando la pista da ballo in un luogo di provocazione.

Abbiamo parlato con il regista Francesco Tavella.

Cocoricò Tapes è un film sulla discoteca, ma con un punto di vista esterno.

Noi non siamo discotecari: è stata questa la chiave di lettura per fare il film. Altrimenti non lo avremmo fatto. Anche perché non è che siamo dei geni, non abbiamo scoperto l’acqua calda. Chi è venuto prima di noi aveva questo svantaggio: era un fanatico.

Quale sarebbe lo svantaggio?

Che le persone che devono farti fare il film – chi ha gli archivi, chi ha creato il Cocoricò – non vogliono fartelo fare. Vedono il fanatismo prima di qualsiasi cosa. La nostra mossa vincente è stata, dopo mezz’ora del primo incontro, dire che a me del Cocoricò non me ne frega un cazzo. Mi hanno abbracciato e mi hanno detto che potevamo andare avanti.

Ma allora quand’è che ha deciso che voleva raccontare questa storia?

Nel momento in cui mi è stato detto della presenza di questi archivi e della possibilità di arrivarci. Ho subito visto i miei amici negli anni ’90, con le portiere aperte e la cassettina di una qualsiasi discoteca con il vocalist sotto. Quegli anni li ho vissuti anche io, anche se ascoltavo il rock. L’ambiente della musica era attorno a noi. Poi quando ho capito che il Cocoricò aveva gente crocifissa, carri armati in pista, messaggi subliminali, uno spessore culturale e un pensiero di fondo, lì ho capito che era nelle mie corde. Il Cocoricò è un mito senza tempo, non ha bisogno di me per essere osannato.

Da dove vengono in materiali d’archivio?

I materiali d’archivio vengono dai materiali di un ragazzo che si chiama Serafino Vaccino, l’unico che avesse l’opportunità di entrare al Cocoricò con una telecamera. Per questo gli archivi sono così preziosi. Poi il film è contaminato da tutto quello che c’era attorno a quel mondo. Volevamo cercare di dare qualcosa di più profondo di un semplice documentario sulla discoteca. Mi piace che qualcuno possa farsi il proprio film: perché vedere queste immagini proiettate apre ai tuoi ricordi personali di quel periodo. Tutto il mondo circostante ci aiuta a capire quel momento lì. Non era solo discoteca, droga e sballo. Era di più

Era cultura? Si può fare cultura con la discoteca?

Assolutamente sì. Loris Riccardi lo ha fatto in 100 modi, sensibilizzando sulla guerra, sulle diversità, sul teatro, sulla poesia. Dove la trovi una discoteca dove 5mila persone vanno a ballare, ma in uno spazio per pochi trovi Sgalambro che legge un libro, Enrico Ghezzi che fa le sue considerazioni, Franco Battiato come ospite.

Ci sono lunghissime sequenze di sole immagini e musica. L’obiettivo era fare entrare lo spettatore in quel mood?

Il film non entra dentro quel tipo di narrazione in cui si racconta come è nato, come è vissuto e come è morto il locale. Io ti racconto un modo di vivere, poi sta allo spettatore che ha vissuto quel periodo dire ho fatto bene a non andarci, oppure ancora caspita cosa mi sono perso. Ma la cosa più importante è che ai ragazzi giovani arrivi un’immagine di ciò che è stato.

Come è stato lavorare al fianco del musicista Matteo Vallicelli, compositore delle musiche?

Il nostro rapporto è andato al di là del lavoro e ci siamo fatti delle ragionate forse anche eccessive sulla musica. Ci siamo detti di usare tutti gli archivi che poteveamo, quindi zero interviste, questo ha impedito l’effetto nostalgia, giusto il necessario che serviva per non fare una roba che venisse considerata videoarte. Però ti devo accompagnare in un percorso e volevamo farlo con musiche attuali, non d’epoca. Abbiamo pensato a un film che fosse per tutti.

Loris Riccardi è sempre stato un personaggio misterioso, sempre restio a mostrarsi. Lei, alla fine, ha capito chi è davvero?

Una persona di cuore, con una grande testa. Una persona che ha fatto sempre qualcosa per gli altri, mai mostrandosi. Una persona sicuramente eccentrica, energica, un vulcano di idee. Quando ho intervistato Loris gli ho detto che il miglior modo per fare un film sul Cocoricò era non fare un film sul Cocoricò. È un film su una generazione, su un momento, su un modo di pensare. Perché 30 anni fa stavamo meglio, stavamo meglio insieme, più che altro. In quel locale le diversità erano accettate e c’era un obiettivo: qui dentro vogliamo essere liberi e sentirci a casa nostra.

di Carlo D’Acquisto

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19 Luglio 2023

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