“Affetti collaterali”: è lo “slot tematico” della sezione Nuovi Territori in cui troviamo Otello Atto V Scena II di Francesco Siciliano, cortometraggio liberamente tratto dal testo di William Shakespeare nella traduzione di Salvatore Quasimodo. Una collocazione quantomai azzeccata per il film di 10 minuti che mette in scena l’amore deviato della tragedia shakesperiana in un’ambientazione metropolitana, un villaggio nomade della periferia urbana. Per Siciliano, attore classe 1968 che ha all’attivo interpretazioni teatrali con Ronconi, Lavia, Missiroli e Perlini, e cinematografiche con Comencini, Lizzani, Bertolucci e Giordana, è la prima prova da regista. A vestire i panni di Otello è lui stesso, mentre per interpretare Desdemona ha voluto Mia Benedetta.
Il tuo Otello è metropolitano e zingaro. Perché?
L’Otello di Shakespere è un capo e un soldato: oggi non può che essere un nomade. Comanda la sua gente ma nella società è un diverso che cerca l’integrazione attraverso il matrimonio con una donna esterna al gruppo. Vive un impazzimento affettivo e si scaglia tragicamente contro la bellezza dell’amore uccidendo la sua compagna. Lei accetta passivamente e dice solo: “uccidimi domani”.
Perché hai scelto Shakespeare per il tuo esordio?
Perché vengo dal teatro e Shakespeare fa parte del mio dna. All’inizio ho pensato di modificare il testo originale ma sarebbe stata un’idiozia perché la sua unità d’azione è così forte da contenere l’intera tragedia. Alla base del cortometraggio c’è l’idea di usare il teatro come punto di partenza, senza prevaricarlo con il gesto della videocamera, e provare a trasformarlo in un cinema che contiene tutte le arti.
Nel corto la classicità del testo si contamina con l’uso del digitale e la musica elettronica dei Prodigy…
Per un giovane regista il digitale non è un ripiego ma un mezzo tutto da scoprire. E’ asciutto e leggero. La ruvidezza del minidv mi è sembrata appropriata a catturare la forza di un testo così alto. Lo stesso vale per la musica elettronica dei Prodigy che si incastra alla perfezione con i versi shakespeariani.
Che luci hai voluto per illuminare la tragedia?
Volevo creare atmosfere molto plastiche. Così i colori nascono dal grigio delle periferie, dell’asfalto e del traffico per poi passare a toni più caldi e tornare alla gelida cupezza della tragedia.
Sul set stavi contemporaneamnete davanti e dietro la camera.
Si. E’ stato un atto contronatura. Un grande sforzo che però mi ha anche divertito. Mi ha facilitato l’impegno della troupe che ringrazio, e quello di Mia Benedetto, la coprotagonista. Con lei ho provato molto prima di andare sul set, una pratica preziosa che purtroppo scarseggia nel cinema italiano.
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