Un film-laboratorio, un viaggio dentro ai momenti più drammatici del coronavirus nel primo lockdown del 2020, una rivisitazione del classico di Albert Camus La peste (1947) di attualità impressionante. Francesco Patierno porta in concorso alla Festa di Roma un film di livida bellezza che parla di cose urgenti come la ricostruzione di un tessuto sociale più che mai necessaria o la nostra incapacità di affrontare il senso esistenziale della malattia. La cura, girato a Napoli (leggi la nostra intervista), è un racconto meta cinematografico che usa anche elementi delle vite degli attori per unire due piani narrativi in un edificio frammentato e ardito.
“La cura – spiega Patierno – parte come libero adattamento contemporaneo del romanzo di Camus, ma nei primi cinque giorni di riprese, durante il lockdown più spietato, sono successe delle cose che mi sono sembrate interessanti, così ho deciso di usare realtà e finzione, due linee che si dovevano alternare e poi fondersi. Volevo che lo spettatore ci scivolasse dentro senza rendersene conto”.
In scena ci sono attori intonatissimi: Francesco Di Leva nel ruolo del medico Bernard, Alessandro Preziosi (Tarrou), Francesco Mandelli (Rambert), Cristina Donadio (il faccendiere Cottard), Andrea Renzi (il prefetto), Antonino Iuorio (Grand) e Peppe Lanzetta (Padre Paneloux). E poi naturalmente una Napoli mai vista, silenziosa, deserta, metafisica: “Napoli – dice ancora Patierno – è una città madre, femminile, una città che crolla e non può essere aggiustata. Lì scorre un’energia che è la forza della città e delle persone. Dopo la laurea in architettura sono venuto a Roma per fare cinema e nel frattempo la mia città è esplosa in senso positivo, nella cultura e nel cinema, ma sta in un perenne equilibrio tra morte e vita”.
Temi che fanno parte anche della riflessione di Camus: “la solidarietà, l’amore e l’amicizia come unico rimedio contro l’inesorabilità della malattia e della morte, come grande cura”, afferma il raffinato regista partenopeo (Pater familias, Naples ’44, Diva!, Camorra). L’ex dei Soliti Idioti Francesco Mandelli ha il ruolo di un attore arrivato da Milano sul set del film nel film. “Era la prima volta che uscivo dal seminato, cioè la commedia. Ma nella vita si aprono cose nuove dentro di te, la nascita di mia figlia e la pandemia mi hanno smosso e avevo voglia di fare cose non scontate”. E prosegue: “Sembra che alcuni si siano accorti della morte solo dal 2020 in avanti. Ma se tutti scappano in maniera scomposta, non si salva nessuno. Bisogna avere coraggio. La pandemia è stato un momento di crescita, sia umana che professionale”. Alessandro Preziosi ha vissuto un grande lutto in quel periodo: “Il film mi ha turbato, mi sono trovato a recitare un monologo di otto pagine sull’idea della morte con indosso gli abiti di mio padre ed è stata una delle esperienze più significative della mia carriera. Patierno non mi ha dato nessun tipo di indicazione lasciandomi solo, nel panico”. E sul ruolo dei governi: “Sono cose di cui la politica non può parlare, il concetto di solidarietà, l’umanità… I miei genitori per quanto impeccabili hanno lasciato dei piccoli vuoti che lascerò ai miei figli e così via. Sono comportamenti legati al mondo borghese a cui apparteniamo”. L’uomo migliore – si dice nel film – è quello che si distrae il meno possibile. “Il governo migliore è quello che non si distrae”, conclude Preziosi.
“Questo ha a che fare con la malattia ma anche con la guerra – aggiunge Patierno – Camus, parlando della peste, raccontava il nazismo, la Seconda guerra mondiale”. E poi c’è una componente religiosa molto forte e importante, c’è anzi lo scontro tra la visione religiosa e quella dell’ateismo umanista. “Il mio personaggio, il medico, è in ascolto, accoglie il dolore, si preoccupa degli altri. Una cosa che abbiamo vissuto tutti nel lockdown. Così nel finale gli abbracci acquistano un significato particolare, oggi che possiamo di nuovo toccarci forse ci siamo dimenticati di quanto fosse indispensabile”.
“E’ un film a cui tengo molto – aggiunge Patierno – dentro c’è tutto me stesso e anche tutte le mie idee di cinema, una messinscena che mi rappresenta e che non è convenzionale, volevo creare qualcosa di complesso e di semplice allo stesso tempo, volevo emozionare. Ma non fare documentario sul Covid, il libro mi ha permesso di essere libero e spregiudicato”.
Napoli come non l’avete mai vista. “Tutto è vero, nemmeno Tom Cruise avrebbe potuto svuotare così la città, abbiamo iniziato le riprese il 20 marzo 2020, giravamo sugli autobus vuoti, ci vedevamo di nascosto nei vicoli per parlare della sceneggiatura con Francesco Di Leva e Andrej Longo, sembravamo tre spacciatori. Ci siamo sentiti come nei film girati durante la guerra, con un misto di esaltazione e paura”. La cura è prodotto da Run Film con Fondazione In Between.
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