38 anni, napoletano, grasso e brizzolato, professione stupratore. E’ Pericle Scalzone, protagonista di Pericle il nero, opera seconda di Francesco Patierno tratta dall’omonimo romanzo di Giuseppe Ferrandino. Racconta di un figlio della piccola camorra, ex attore porno e killer sodomita al soldo del boss Luigino Pizza. A interpretarlo Patierno ha chiamato Pietro Taricone, una scelta rischiosa ma calcolata. “Sarà una storia diretta allo stomaco più che alla testa” promette il regista di Pater familias, la pellicola violenta e iperrealista applaudita alla Berlinale 2003. Ha appena chiuso la sceneggiatura e comincerà le riprese a marzo tra Napoli e Pescara. Il film è una coproduzione Kubla Khan/Pequod.
Che cosa ti ha affascinato del romanzo?
Pericle il nero è la storia di un cambiamento. Il caso limite di un cane/bambino trasformato in macchina dell’ambiente circostante che alla fine trova gli strumenti per decifrare la realtà.
L’approccio con la scrittura di Ferrandino?
La scrittura di Ferrandino è coinvolgente ma, al contrario di quanto si potrebbe pensare, molto difficile da portare sullo schermo. La via più facile era il ricorso alla voce fuori campo ma l’ho scartata fin dall’inizio. L’obiettivo infatti è catturare l’anima del romanzo senza operazioni didascaliche. Alla sceneggiatura ho lavorato per 7 mesi. Prima da solo, poi ho letto Mosca più balena, raccolta di racconti di Valeria Parrella, scrittrice napoletana esordiente. Ho intuito che era la persona giusta. Abbiamo lavorato molto sul linguaggio, su neologismi e cadenze. Amo i dialoghi indiretti, come quelli di Elephant quando le parole dei ragazzi suggeriscono qualcosa di più del loro significato immediato.
Cosa cambia dal libro alla sceneggiatura?
Ho aggiunto alcune premesse emotive, necessarie per cogliere il carattere del personaggio. Come l’infanzia di Pericle. Ho immaginato un orfano educato dalla strada, frequentatore della piccola camorra. Una spugna senza difese. Grazie alla mano di Valeria alcuni personaggi femminili hanno maggior peso. Ad esempio, Anna, la figlia di Luigino Pizza. Nel libro compare quasi solo alla fine, noi la mostriamo bambina. Poi, Anastasia, la donna che farà scattare in Pericle la scintilla del cambiamento.
In “Pater familias” hai sperimentato un’estetica molto personale. La riproporrai?
Fabio Ferzetti confrontando la crudezza di Pater familias con un altro film fin troppo sbilanciato verso il pubblico ha parlato della possibilità di una terza via. Ecco, io sto studiando in quella direzione. Rivedere Pater familias mi lascia quasi sgomento. E’ davvero durissimo. Pericle il nero invece fa parte di un’altra fase della mia vita. Il racconto sarà più lineare, la pellicola meno sgranata. Soprattutto cambieranno le geometrie: la m.d.p. si avvicinerà ai personaggi e non sarà ostacolata dalla continua presenza di oggetti. Giocherò su un registro grottesco senza rinunciare ad una recitazione realistica.
Come dirigerai Taricone?
Sarà una sfida. Pietro affronterà un grosso lavoro psicologico e una notevole trasformazione fisica. Apparirà senza trucco ma ingrassato di 25 chili. In lui vedo un’ipersensibilità mascherata, preziosa per interpretare i lampi di depressione/esaltazione di Pericle. Accanto avrà Ernesto Mahieux nel ruolo di Luigino Pizza. Prima di arrivare sul set non farò prove ma vorrei si creasse la stessa complicità di Pater familias. Conto sulla solidità della sceneggiatura che permetterà di fare cambiamenti in corso d’opera.
Sei anche un documentarista. Hai qualche progetto di non fiction?
Ho girato un documentario sulla Silicon Valley per C’era una volta, il programma di Rai Tre che trasmetterà 5 puntate sugli Stati Uniti. Un viaggio nel cuore di un melting pot di culture e di razze, spietato ma ricco di possibilità, culla di uno strano mix ideologico tra egualitarismo e competizione sfrenata.
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