Un piccolo miracolo sul set. E’ successo durante le riprese del Mandolino del Capitano Corelli, il film diretto da John Madden (Oscar per Shakespeare in love) che narra la strage degli italiani compiuta dai soldati tedeschi a Cefalonia.
Tredici attori italiani, di cui alcuni esordienti, dovevano rappresentare il contingente italiano trucidato dai nazisti sull’isola greca. Semplici figuranti in grande produzione americana decidono di girare un documentario sulla loro esperienza. E così, al grido di “gli ultimi saranno i primi”, le comparse divengono protagonisti, e per nulla imbarazzati dalle ingombranti presenze di Nicolas Cage, John Hurt e Penelope Cruz, invertono le parti.
In questa curiosa maniera nasce Italian Soldiers, il film nel film diretto da Francesco Cabras, anche lui uno dei soldati di Corelli, e curato dai suoi inseparabili colleghi: Alberto Molinari e Francesco Struffi. Il lavoro sarà presentato su Tele+ e al Festival di Torino.
Com’è nata l’idea, Cabras?
In maniera molto spontanea. Ero andato in Grecia, dopo aver superato il difficilissimo provino per avere la parte di uno dei soldati del film di Madden. Ma una volta sull’isola, tra noi attori italiani si è creata una tale complicità e simpatia, che ho capito che da questa esperienza si poteva tirare fuori anche dell’altro. Visto, poi, che la mia grande passione è la regia mi sono messo dietro la telecamera a riprendere la storia: quella della nostra vita di “provinciali” alle prese con un grande set. Ma c’è stato anche un altro elemento che mi ha convinto ad andare avanti. Ogni volta che noi italiani arrivavamo sul set l’atmosfera cambiava improvvisamente: si scioglieva ogni imbarazzo e subentrava una straordinaria corrente di entusiasmo e simpatia. Questo non potevo non raccontarlo.
Durante le riprese di “Italian Soldiers” tutta la troupe di Corelli, da John Madden a Nicolas Cage, ha aderito con curiosità alla vostra iniziatiava. Come vi consideravano?
Il tipico stereotipo degli italiani. Per due mesi siamo stati esattamente come ci immagina il mondo anglosassone. Ma questo invece di rattristarmi mi ha rallegrato.
Perché?
Ho capito che non c’e niente di male ad essere anche così. In fondo noi siamo in parte come ci vedono gli altri. Poi considerando che si trattava di una storia di soldati italiani, in questa maniera mi sono sentito più vicino anche ai veri protagonisti.
Alla luce di questa esperienza, si è fatto un’idea della differenza tra il cinema europeo e quello americano?
La principale differenza sta negli enormi capitali di cui dispongono. Questo permette di lavorare al meglio.
Insomma, Los Angeles è sempre la capitale del cinema.
La città dei sogni, per un cineasta, è quella dove è possibile il totale controllo della propria opera. E solo in Europa si ha un vero senso di autonomia rispetto al proprio lavoro artistico. Ho risposto?
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