Ancora una volta è il microcosmo familiare il cuore narrativo di Francesco Bruni tornato alla regia con Noi 4 dopo il fortunato esordio di Scialla! e dopo aver firmato nel frattempo le sceneggiature di Tutti i santi giorni e Il capitale umano dell’amico e concittadino livornese Paolo Virzì.
Il rapporto padre e figlio di Scialla! lascia ora il posto all’intreccio di relazioni tra i quattro componenti di una ‘famiglia’ scombinata, nell’unità di tempo delle ventiquattr’ore: i genitori 45enni divorziati e i loro due figli, di 20 e 13 anni. Sguardo più impegnativo, meno lieve e lineare, ma sempre di commedia si tratta, venata di umorismo e di malinconia su quel tempo felice che passa e non ritorna per gli adulti. I giovani, invece, sono solo agli inizi dei loro primi drammi e amori.
In Noi 4, prodotto da IBC Movie con Rai Cinema e in sala con 01 dal 20 marzo, Fabrizio Gifuni è Ettore, un artista squattrinato e un po’ cialtrone, genitore poco affidabile, ma con un temperamento ironico e rilassato che a volta funziona. Ksenia Rappoport è Lara, una donna russa forte, anche troppo, e nevrotica, divisa tra la professione di affermato ingegnere e l’amore per i due figli, prendendosi tutto il carico familiare. Lucrezia Guidone è Emma, una giovane idealista e un po’ fanatica che sogna di fare l’attrice di teatro, ‘innamoratissima’ del padre. Francesco Bracci Testasecca è Giacomo, timido e impacciato ma saggio, alle prese con il passaggio all’adolescenza, tra esami di licenza media e batticuori per una compagna di scuola, sempre pronto a difendere la madre.
Nell’arco di una giornata le loro vite s’incrociano affannosamente in varie parti di Roma fino a trovare tranquillità e pace interiore sulle rive del lago di Martignano.
C’è un rapporto tra questa opera seconda e il suo esordio?
Luca di Scialla! potrebbe aver frequentato la stessa scuola di Giacomo, il ragazzino. Trovo affini i due film, in fondo raccontano un microcosmo comune con toni simili.
Quanto di autobiografico c’è nel suo film?
Il mio orizzonte di narratore è limitato, traggo ispirazione dalle persone che ho vicine. Noi 4 nasce da un momento di svolta nella mia famiglia, quando il ruolo di genitori non era più centrale e i figli stavano prendendo la loro strada. Insomma stavo invecchiando.
La famiglia non è troppo rappresentata nel nostro cinema contemporaneo?
Non quella che io identifico come metropolitana, borghese e progressista, una famiglia poco raccontata. Forse ci sta provando a farlo Francesca Archibugi nel suo nuovo film. Siamo abituati a vedere rappresentate famiglie proletarie e disperate o straricche e vacanziere.
La gita di tutta la famiglia al lago è rivelatrice del loro stare bene insieme nonostante il divorzio dei genitori.
Sono un po’ come ‘gli incredibili’ del cartoon. I miei quattro supereroi quando uniscono le loro forze esercitano una sorta di superpotere di amore.
Finale sospeso, ma come immagina il futuro di questa famiglia?
Fermiamoci a quel che vediamo: la scoperta che l’amore tra due persone è un fuoco che non si spegne mai, a cui si attinge anche non vivendo insieme. Succedeva anche in Scialla! Alla fine quel che conta è comunicare, rispettarsi, volersi bene e sapere che l’altro c’è.
Come si è rapportato con le sue creature?
Cerco di vedere sempre il meglio di tutti. Come scrittore ho fatto mia la lezione di Furio Scarpelli e Suso Cecchi D’Amico: cercare il positivo nei personaggi negativi e viceversa. Lara, Ettore, Emma e Giacomo sono inoltre figure differenti a seconda di chi hanno di fronte e raccontare questo caleidoscopio di rapporti e punti di vista non è stato facile. In montaggio, grazie ai suggerimenti del produttore Beppe Caschetto, ho evitato il rischio della discontinuità.
Come ha scelto gli interpreti?
Ho subito pensato ad attori che potessero restituire un’immagine verosimile e credibile di una famiglia. Così ho scartato l’idea di attori molto popolari, la cui notorietà avrebbe penalizzato la riuscita dei personaggi. Hanno lavorato a coppie per mettere a fuoco il sentimento che animava ciascuna.
La Roma del suo film è una capitale caotica e rumorosa?
Una dimensione poco narrata che vivo quotidianamente. In questa confusione autentica, fatta di rumori della città e passanti che non sono comparse, ho collocato gli attori, ricercando un sapore di verità e chiedendo al fonico un lavoro attento sulla presa diretta.
Non trova un po’ ideologico l’omaggio al Teatro Valle occupato?
Sono convinto che quel che ha mosso le persone all’inizio sia stato giusto e sacrosanto: evitare un futuro incerto del teatro. Gli occupanti hanno cura, rispetto e amore di questo luogo, non è certo un covo di punkbbestia.
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