Ha ritirato un’assicurazione sulla vita, alcuni risparmi ed è andato alla ventura. Francesco Apolloni ha iniziato così a girare ‘Fate’ come noi, nei prossimi giorni al Giffoni Film Festival. Nel cast Pupella Maggio, grande attrice napoletana scomparsa nel dicembre del ’99 qui alla sua ultima interpretazione, Agnese Nano, Ricky Tognazzi, Francesco Venditti e Mauro Meconi. Commedia un po’ magica si compone di due episodi di cui il primo si basa su un racconto pubblicato qualche anno fa sul quotidiano “La Repubblica”, scritto dallo stesso Apolloni. “Lo avevo intitolato ‘la signora Fernanda’, la storia di una vecchietta che rimane sola a Roma durante l’estate”. Ma la signora Fernanda è diventata Giustina, si è appropriata del nome vero di Pupella Maggio: “Fu lei a volere che il personaggio si chiamasse Giustina, ha lasciato la sua firma”, racconta Apolloni. Il film è stato riconosciuto di interesse culturale nazionale.
Come ha convinto Pupella Maggio a partecipare al film?
Avevo bisogno di lei. Quando la incontrai per proporle la parte, mi disse ‘lo so dove stai andando, va bene lo faccio’. Era molto fragile, stanca, sua figlia non voleva che lavorasse ma lei testarda: ‘No, lo faccio, ho detto che lo faccio!’. Aveva lavorato per tutta la vita, non si sarebbe fermata proprio in quel momento. Lei era al tramonto, io all’inizio, eppure la volontà e la determinazione in noi due erano le stesse.
Si è trattato comunque di un rischio. Pupella aveva novant’anni quando ha lavorato con lei.
Nessuna produzione avrebbe preso un’attrice così anziana. Ma io e i miei soci abbiamo lavorato in modo indipendente e Pupella è un’attrice straordinaria. Ad ogni modo ci sono stati momenti in cui ho avuto paura per lei.
Ad esempio?
In una scena un barista (Paolo Sassanelli, ndr) chiede a Giustina ‘Signora che fa?’ e lei risponde ‘volo’. Ora mentre recitava quella battuta sul set, Pupella alza il bastone da passeggio. Mi sono impaurito, sono entrato in scena per prenderla e lei, un po’ infastidita, mi guarda e mi fa “Francé…sto recitando!”.
Il suo è curiosamente un film al femminile…
Me ne accorgo solo ora. D’altra parte sono cresciuto solo tra donne. E’ un inconsapevole omaggio a loro, a mia nonna, ma soprattutto a mia madre che mi ha partorito a 18 anni. Trent’anni fa la donna perdeva il posto di lavoro se il padrone veniva a sapere che era una ragazza-madre. Certo, se avessi pensato sin dall’inizio a scrivere un film per le donne mi sarei sentito uno scemo e non ci sarei riuscito.
“’Fate’ come noi” si sviluppa in due episodi. Nel primo come nel secondo tempo avvengono incontri particolari fra persone diverse, sia per la posizione sociale che per l’età.
Il film racconta solitudini che, pur nella loro diversità, si riconoscono. C’è un aspetto magico, riguardante la comunicazione affettiva. Ognuno di noi durante la propria vita, ha la possibilità di fare degli incontri particolari. A volte accade, a volte no. Ma si tratta di una magia concreta, non esteriore.
Chi è la fata?
Mi piace pensare che ce ne siano almeno due. Mi divertiva richiamare il mondo fantastico dei bambini.
Questo è un vero film indipendente, realizzato con un elevato coefficiente di rischio. Rifarebbe il produttore?
Sì. Un regista deve gestire un budget e quindi deve avere anche una mentalità produttiva. Senza un diritto di antenna garantito, pochissimi produttori si muovono, ma il cinema non può e non deve raccontare storie televisive. La gente la televisione c’e l’ha a casa. Perché dovrebbe spostarsi per andare al cinema?
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