Francesca Comencini: “La normalità distorta dell’Italia”


VENEZIA – Al Lido è il giorno di Francesca Comencini, che con il suo Un giorno speciale, in concorso e in sala il 4 ottobre con Lucky Red, firma una storia d’amore giovanile ambientata nell’Italia di…’ieri’. L’Italia dell’apparire e del bunga bunga, l’Italia di una crisi che è tanto economica quanto culturale. L’Italia in cui la tv domina e confonde i pensieri con il suo alto volume e le sue illusioni di lustrini e successo facile, raggiungibile con compromessi che sembrano poter essere nascosti e dimenticati semplicemente evitando di farne parola. Perché, in fondo, si tratta dei cinque minuti che ti svoltano la vita, e cosa possono cambiare? Ma la verità non è come appare, e quando ci si schianta contro le cose come stanno realmente, specie se si è giovani e ingenui, nulla va come sarebbe dovuto andare.

 

Gina e Marco (l’esordiente Giulia Valentini e Filippo Scicchitano, già visto in Scialla!) sono giovanissimi e decisi a diventare “qualcuno”. Si incontrano luna mattina in una periferia stralunata alle porte di Roma. Lei ha un appuntamento con un politico che potrebbe mettere una buona parola e aiutarla a entrare nel mondo dello spettacolo. Lui è l’autista che ha il compito di condurla all’appuntamento. E’ l’occasione che entrambi aspettavano, il primo giorno di lavoro. L’entrata nel mondo dei grandi. Ma il politico, impegnato in una seduta parlamentare che si protrae all’infinito, rimanda di ora in ora l’appuntamento lasciando i due ragazzi in un limbo d’attesa che si trasforma ben presto in una giornata speciale. Ma il futuro immediato è sempre in agguato.

Potremmo definire il film una commedia amara…
Scrivendolo e lavorandoci, per la prima volta ho cercato di inserirmi dentro una tradizione di cinema italiano che in maniera del tutto modesta, riuscisse a far ridere e al contempo essere graffiante e cattivo.

Il film è tratto dal libro ‘Il cielo con un dito’ di Claudio Bigagli. Come ha lavorato nella trasposizione dalla carta alla pellicola. Ci sono stati dei cambiamenti?
Sì, soprattutto nella seconda parte e nel finale, che nel libro volgeva al ‘giallo’. Abbiamo semplificato la trama per raccontare il primo giorno di due ragazzi nella vita ‘da adulti’. Il simbolo della mia conclusione è una finestra aperta, con una voce che irrompe, facendosi più forte del volume della tv.

Chiaramente ci sono rimandi a fatti di cronaca recente: la politica, i festini privati…
Se non avessi letto di tutte queste cose probabilmente il film non esisterebbe, chiaro. C’è il nostro passato recente, fatti così vicini a noi ma così lontani, che ci riguardavano e ci riguardano ancora. Ho voluto raccontare qualcosa di molto pesante che è durato molto a lungo e ha portato l’Italia fuori dal tempo che non è il tempo di oggi. Ma abbiamo cercato di mantenere questa trama sullo sfondo. E’ una piccola storia in una storia più grande. La mia protagonista è una ragazza normalissima, che ha aspirazioni normali e vive in una famiglia normale. Ma nella sua testa è entrata l’idea che se c’è una cosa di non normale, un compromesso, che in cinque minuti ti svolta la carriera, allora è una cosa che si può fare. Da qui derivano la leggerezza e la tranquillità narrativa della prima parte del film. Poi, lei, inavvertitamente, si va a schiantare sopra a qualcosa che ha potuto immaginare come ‘normale’, ma che normale non è, non le appartiene. E non è come si aspettava. Non dura affatto cinque minuti. Il politico rimanda l’appuntamento, poi sembra voler rinunciare, infine la richiama a sé. Forse perché è stanco, forse per giocare ancora di più col suo potere. Lei si trova spiazzata, è una situazione diversa da come l’aveva immaginate. Le cose non vanno come dovevano andare. L’idea centrale del film è proprio questo concetto di normalità distorta, di cui non conosciamo ancora gli effetti sulle prossime generazioni. Anche per questo, il finale è aperto.

Come in ‘Bellissima’ di Visconti, è la madre che prepara la figlia e la porta al ‘massacro’…
Mi sono chiesta proprio questo, dato che io stessa sono madre. Noemi Letizia ha la stessa data di nascita di mia figlia, per dire. Eppure queste madri vogliono bene alle loro figlie, pensano di fare il loro bene. D’altro canto, presso altre culture ci sono madri che applicano pratiche alle proprie figlie che noi giudicheremmo orribili, e lo fanno perché, per loro, questo significa metterle nel mondo adulto. E quando avvii tua figlia nel mondo adulto, lo fai attraverso il viatico che le instrada nel mondo come tu pensi che sia. La scena iniziale, quando la madre trucca la figlia e i loro corpi quasi si fondono, è come un rituale d’iniziazione. La mamma è interpretata da una parrucchiera, non da un’attrice professionista. Già il suo corpo, e il suo modo di essere, raccontano molto. E’ una donna bella, magrissima, sembra quasi la sorella di sua figlia. Un altro tema del film è la ricerca spasmodica della bellezza, con il suo collasso in qualcosa che è tutto il suo contrario. In un mondo in cui essere belli è quasi un imperativo, nel cercare di esserlo si rischia di diventare mostri. Il tema del rapporto con la bellezza l’ho cercato anche nei luoghi, nell’ambientazione, in questo quartiere di Ponte di Nona, fuori dal raccordo a Roma, con queste case colorate dal fascino fatuo, curato esteticamente eppure totalmente isolato, privo di servizi. Pensi che per riuscire a passare da un lato all’altro di una strada che è divisa da un ponte, hanno costruito con pochi mezzi una piccola via che poi hanno chiamato ‘Via mejo de niente’. E c’è poi la bellezza di Roma, una bellezza ferita.

Fotografata dall’occhio esperto di Luca Bigazzi…
Assolutamente. Mi sono avvalsa della sua bravura, e anche della tecnologia. Abbiamo girato con la Red Epic, una telecamera piccolissima. Tanto che, quando abbiamo realizzato la scena della fuga, in via del corso, la gente pensava stessimo lavorando a un filmino di matrimoni, dato che i protagonisti erano molto ben vestiti. Il film fa naturalmente riferimento a un’idea televisiva d’immagine, esasperando gli effetti del digitale. Con un certo realismo di fondo. Nel ristorante, la folla attorno i ragazzi è la vera clientela, non comparse. Ci ha salvato, abbiamo lavorato in 6 settimane con 600mila euro.

Ma la bellezza si sporca. Sembra la negazione più totale della riflessione femminista…
E lo è. Non ho dipinto una ragazza costretta, o vittima. Quando si sente dire, in merito a queste cose, che ‘sono le ragazze a volerci andare’, è vero. Mi sono mossa su questo terreno. Non si tratta di prostituzione. Sono ragazze normali che, come piccole imprenditrici, utilizzano il proprio corpo pensando che sia uno strumento, separato dal loro essere. C’è una mente e poi c’è il corpo, che loro governano sia nella forma e nell’aspetto, che come mezzo per poter ‘arrivare’, considerando ciò nel terreno della propria libertà. Il femminismo invece piazzava proprio il corpo al centro della libertà femminile. Una libertà che esclude il corpo non è libertà.

Torniamo alla politica, l’ambienta in cui si svolge la scena ‘clou’ sembra proprio Palazzo Grazioli…
Ma non lo è. E’ un edificio della Regione che ci è stato aperto da un portiere gentilissimo, che lo ha fatto semplicemente appena gli abbiamo detto che ci serviva per un film. Anche il mio politico, non è la caricatura di Berlusconi, e non rimanda a nessuno in particolare. Anzi, ho voluto evitare lo stereotipo del vecchio sgradevole e con la pancia. E’ un tipo giovanile, aitante, volendo. Ma la verità è che, ovunque io avessi girato quella scena, allo spettatore sarebbe venuto in mente Palazzo Grazioli. E’ inevitabile, le cronache sono entrate nelle nostre vite. E’ più nella testa di chi guarda che nella mia. La denuncia, se denuncia c’è, riguarda non un politico in particolare ma il problema delle forme di potere maschile che ancora esistono, anche nel cinema.

E i suoi protagonisti, i ragazzi, politicamente come li ha immaginati?
Li ho immaginati esattamente come sono. Facendo i provini ho parlato con moltissimi giovani e la loro idea, quasi unanime, della politica è: ‘non ce ne frega niente, si scannassero tra loro’. Una battuta che c’era anche nel copione, ma che poi ho tagliato.

Come li ha scelti?
Scicchitano era già nel giro, mentre Giulia Valentini è stata una sorpresa. Abbiamo organizzato dei casting nelle periferie, con un account Internet e dei volantini. Mi sono innamorata della sua risata e della sua capacità di improvvisazione. La scena del ristorante, dove lei racconta tutto quello che ti capita se cerchi lavoro e sei carina, l’ha inventata lei sulla base di esperienza che le sono capitate davvero.

Cosa si aspetta da questo film, e in particolare dalla sua presenza a Venezia?
Di uscirne viva, prima di tutto. E vorrei naturalmente che lo guardassero i giovani. Io penso che il problema dell’occupazione giovanile e della vita di una intera generazione sia il problema principale di questo paese, il paese che lasciamo in eredità ai giovani noi adulti. La colpa è come la neve, ci ricopre tutti. Al di là del problema Berlusconi, siamo tutti coinvolti e se non cambiamo noi, non cambieranno i giovani. La responsabilità è nostra. Loro possono fare la loro parte, forse smettendo di aspettarsi qualcosa dagli adulti, anzi, dando anche loro un bel calcio nel sedere e riprendendosi il proprio spazio. Ma non so se possono farlo da soli. Una democrazia è come un corpo in cui ogni organo ha la sua importanza. Se c’è uno squilibrio, tutto il corpo si ammala. L’Italia è un paese che rimuove fin troppo, mentre non rimuovere è la nostra responsabilità. Il film è un continuo rovesciamento: è Gina che per tutto il tempo è più forte, immagina, organizza, e Marco le va dietro. Ma alla fine, lei si schianta contro la realtà, e lui invece, proprio dall’aver conosciuto lei trae la forza per ribellarsi.

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07 Settembre 2012

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