FIRENZE – E’ dedicata alla scrittura la seconda giornata di France Odeon, il festival di cinema francese di cui CinecittàNews è Media Partner. Si parte alle ore 11.00 con la presentazione del libro “Michelangelo”, all’Istituto Francese in Piazza Ognissanti. Il volume porta le prestigiose firme di Colin Lemoine e Jack Lang, ex ministro della cultura francese, ospite speciale e da quest’anno anche presidente onorario della kermesse. Fulcro della giornata è però la proiezione del documentario di Noelle Deschamps Conteurs d’images, dedicato alla scrittura cinematografica, che attraverso una serie d’interviste a sceneggiatori e autori di tutto il mondo – tra cui figurano Guillermo Arriaga, Jaco van Dormael, John Boorman, Maiwenn, Emir Kusturica, Jacques Audiard e Michel Gondry – dona uno sguardo inedito sull’atto creativo che precede le fasi di lavorazione effettiva di un film.
“La pellicola – commenta il direttore artistico di France Odeon Francesco Ranieri Martinotti, che cura anche l’Atelier Farnese, fucina di nuovi soggetti in collaborazione tra Italia e Francia – meriterebbe di essere vista non solo nelle scuole di cinema, ma anche in tv e magari in sala, perché il mestiere di sceneggiatore è ancora sconosciuto e sottovalutato. In Usa molto spesso sulla scrittura si investe poco. Si fanno realizzare le sceneggiature e solo in un secondo momento si decide se produrle o meno, mentre si tratta invece di una fase importantissima”. Al film è associato un dibattito a cui partecipano la regista, la produttrice Dominique Marzotto e Andrea Purgatori, autore di numerosi script di successo.
“Per vent’anni – racconta Deschamps – ho avuto la fortuna di lavorare accanto agli sceneggiatori. La domanda che tutti ci poniamo è: si inizia dalla creazione o dalla costruzione? Nel mio caso, è stato il montaggio, curato da mio marito che è anche un grande professionista, a rivelarsi determinante. Ma ci abbiamo messo un po’ per capire la direzione che stavamo prendendo”.
“Si tratta sempre di una storia d’amore – commenta Purgatori – amore per un soggetto che è anche corteggiamento. Quando si scrive c’è sempre il timore di non riuscire a portare questo sentimento fino in fondo, e poi la sorpresa di trovarsi di fronte a una grande storia. Solo innamorandosene fino in fondo essa riuscirà a trovare la sua anima. Kusturica paragona la strutturazione di una storia a quella di una casa. Se sei Renzo Piano, farai un edificio meraviglioso, ma anche se non lo sei, seguendo certe regole la tua casa starà in piedi. In Italia però abbiamo avuto il neorealismo, con un approccio all’impronta che alla strutturazione dava poco peso, basando quasi tutto sull’istinto. Sono stati poi gli americani a prendere in mano i nostri film e a farne lezioni da manuale. Ho avuto la possibilità di lavorare con Ugo Pirro e lui era puramente istintivo: aveva nelle vene il senso del tempo e del montaggio, mentre molti autori statunitensi programmano tutto nel dettaglio, contando il numero di pagine. Quel che mi ha colpito del film è che tutti gli autori che sono stati intervistati hanno mostrato un gran senso di libertà. Nessuno ha detto di essersi mai trovato costretto a realizzare le sue cose in un modo piuttosto che in un altro. E al contempo, hanno un po’ tralasciato di sottolineare che, quando si scrive per il cinema, si scrive già per immagini. E’ questo che separa lo sceneggiare dalla scrittura tradizionale”.
Anche Noelle Deschamps cura un atelier, chiamato Equinox: “Dalla mia partecipazione al Sundance mi sono accorta di quanto sia importante lavorare in squadra – dice – cosa che gli americani fanno molto e i francesi tendono a evitare, per insicurezza, solitudine o problemi di ego”.
“L’atelier ha un respiro internazionale – prosegue Marzotto – ha prodotto 11.000 sceneggiature, di cui ne sono state selezionate 400 per 100 film realizzati, con interventi di gente di cinema da tutto il mondo”.
Dal documentario emerge anche che un metodo unico e sicuro, per scrivere di cinema, non esiste. C’è chi semplicemente inizia a scrivere la prima scena e si lascia trascinare dal cuore fino all’ultima, chi incolla volantini su tavole corrispondenti agli atti del film, chi ha bisogno di guardare fuori dalla finestra, chi dentro la sua anima. Quasi mai si è sicuri di farcela, quasi mai si sa dove la trama andrà a parare. E molto del lavoro andrà scartato per il bene del risultato finale.
“Il mio metodo – racconta Purgatori – è legato alla mia formazione giornalistica. Per molti anni ho scritto ogni giorno in condizioni estreme. Sia logisticamente la guerra in Medio Oriente, ad esempio sia in termini di tempi, perché magari il giornale doveva uscire ed ero in costante ritardo. Do il meglio di me quando posso scatenare l’adrenalina, non sarei mai capace di lavorare ‘con disciplina’. Ho sempre bisogno di una deadline e di una scadenza. Ma parlavamo di corteggiamento. Ebbene, io le mie idee le porto a letto. Le elaboro prima di addormentarmi. E il giorno dopo le ritrovo, un po’ più formate”.
Anche i film della sera hanno una connessione con la scrittura. Se Confession d’un enfant du siècle di Sylvie Verheyde è ispirato, sin dal titolo, al romanzo di Alfred de Musset (con la partecipazione di Charlotte Gainsbourg e la particolarità, per un film francese, di essere girato totalmente in inglese), il sorprendente Camille redouble di Noémie Lvovsky parla della possibilità di riscrivere la propria vita, in una ‘what if comedy’ che se non punta sull’originalità – il gioco di ‘ritorno al passato’ è identico a quello di Peggy Sue si è sposata di Coppola, richiamando anche Sliding Doors, Ritorno al futuro, Ricomincio da capo e molti altri predecessori – ha dalla sua una sceneggiatura solida e l’interpretazione di Lvovsky, che si ritaglia il ruolo principale. “Ma a volerlo – racconta l’autrice, presente al festival – è stato il produttore Jean Louis Livi“, che era atteso a Firenze ma ha dovuto declinare per un imprevisto.
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