France Odeon: guardare oltre…


FIRENZE – Batte la palpebra per l’ultima volta – per quest’anno, s’intende – il grande occhio che costituisce il logo di France Odeon. Un simbolo che, proiettato sul grande schermo della splendida sala che dà il nome alla kermesse, invita gli astanti a non essere troppo tristi per la conclusione, ma piuttosto a guardare verso il futuro.

Quasi certamente verso una terza edizione, dato che la risposta del pubblico è stata entusiastica e calorosa, ma anche verso un domani non troppo lontano in cui il cinema italiano e quello francese, un tempo tanto vicini e poi gradualmente allontanatisi, possano tornare a una proficua collaborazione.

“L’industria audiovisiva francese – spiega il direttore artistico Francesco Ranieri Martinotti – al momento è l’unica in grado di resistere allo strapotere di Hollywood, grazie al “sistema di sopravvivenza” inventato con la collaborazione del Centro Nazionale di Cinematografia. Anche per questo uno degli obiettivi che si pone France Odeon è quello di ritrovare un punto di contatto fra la nostra cinematografia e quella d’oltralpe”.

Ma c’è anche un futuro più immediato a cui pensare: la seconda edizione di France Odeon, infatti, non è stata che l’inizio del grande evento chiamato 50 giorni di cinema internazionale a Firenze, che vede riuniti uno accanto all’altro i più prestigiosi festival del capoluogo toscano. Già dal 25 ottobre si prosegue con Cinema Danimarca. A rappresentarlo sul palco è Stefania Ippoliti, direttore della Mediateca Regionale della Toscana Film Commission, a cui si affianca il presidente di France Odeon, Riccardo Zucconi.
Il pomeriggio del giorno di chiusura è dedicato alla commedia: prima con Les petits Ruisseaux, delicata parabola sulla terza età presentata dall’affabile attore protagonista Daniel Prévost, che non manca di sottolineare la sua passione per il cinema italiano. “Specialmente – dice – quello che unisce a toni da commedia a tematiche sociali di rilievo”. Poi con Copacabana di Marc Fitoussi, interpretato da Isabelle Huppert, nei panni di una madre squattr inata e fuori dall’ordinario che, in tempi di crisi del mercato, accetta un incarico impossibile da agente immobiliare pur di riconquistare la fiducia di sua figlia.

L’ultimo film della serata, e del festival, ci invita a “guardare oltre” già dal titolo. Benda Bilili!, in congolese, significa proprio “vedere al di là delle apparenze”. E’ un documentario, ma coinvolgente e toccante più di molti prodotti di fiction. La storia è quella di un gruppo di indigenti paraplegici nati alla periferia di Kinshasa che, grazie alla voglia di vivere, riesce a realizzare il sogno di diventare una band musicale di successo internazionale.

“Dormivo tra i cartoni/ e, bingo!, mi compro un materasso/ non è mai troppo tardi nella vita/ la fortuna arriva inaspettatamente/ chi sei tu per prendermi in giro?/ un giorno anche noi ce la faremo”, recita una delle loro canzoni.
E ce l’hanno fatta, grazie all’intervento appassionato dei due registi Florent de la Tullaye e Renaud Barret, e del produttore Yves Chanvillard, giunto a Firenze per presentare la pellicola, già applaudita al festival di Cannes.

“I due registi, prima di Benda Bilili!, conducevano delle vite assolutamente diverse – racconta il produttore – uno faceva il fotografo a Parigi, l’altro l’agente di comunicazione. Erano appassionati di musica e, stufi della vita di città, hanno mollato tutto e si sono recati in Africa, in un posto davvero problematico ma con una grande scena musicale. Lì hanno conosciuto lo Staff Benda Bilili, questo straordinario gruppo di persone handicappate che se ne andava in giro per locali tentando di racimolare un po’ di soldi per dar da mangiare alle proprie famiglie. Intendevano produrre più che altro un disco, e le riprese che hanno effettuato, all’inizio, dovevano essere solo a scopo promozionale per un progetto che pensavano durasse all’incirca un anno. Poi sono arrivate le difficoltà, e i tempi si sono estesi a ben cinque anni. Non ci sarebbe stato il film se non avessero avuto la prontezza di documentare tutto quello che accadeva. Quando ho avuto modo di vedere il materiale l’ho trovato fantastico – continua – così mi sono messo in contatto con loro che mi hanno detto: ‘ma perché ti interessi a noi? Abbiamo perso tutti i nostri soldi, siamo nei guai fino al collo’. Ho risposto che avevo una somma da parte e che volevo dare a loro e alla band la possibilità di continuare quest’avventura. E siamo riusciti a portare lo Staff in un festival di musica importante. All’inizio, però, eravamo disperati. C’erano trenta persone a vederli. Ma lì, quella sera, dev’essere accaduto qualche miracolo, perché alla fine dell’esibizione gli spettatori erano diventati cinquemila e il giorno dopo ne parlavano tutti i giornali. In un solo giorno la vita della band è cambiata, e hanno cominciato a fioccare richieste per tutto l’anno successivo. E il bello è che loro non hanno mai smesso di crederci, neanche per un istante”.

“E’ davvero una gran lezione di vita – racconta poi Zucconi che si è innamorato del film a Cannes – Credetemi, non c’è nessuno nato più sfortunato di questi ragazzi e alla fine ce l’hanno fatta. Quando mi pare che le cose mi vadano male, ora penso sempre allo Staff Benda Bilili e mi rendo conto che ogni difficoltà è superabile. Appena ho visto il film mi sono subito convinto che era perfetto per France Odeon, così ho trascinato con me Francesco Ranieri Martinotti alla festa che il gruppo aveva organizzato per l’occasione sulla Croisette. Era in assoluto la più affollata, non si riusciva a entrare. Abbiamo dovuto scavalcare la staccionata, in smoking, con i buttafuori che ci inseguivano, ma ne è valsa la pena!”.

“Solo dopo – aggiunge Martinotti – abbiamo scoperto che uno dei produttori del disco, Giampiero Bigazzi di Materiali Sonori, è un toscano DOC!”. Un segno del destino.

C’è tempo ancora per un ultimo saluto, che si concretizza in un benauguranre “Vive la France! Vive le Cinema Odeon! Vive Florence!”.
Poi, è davvero tempo di guardare oltre.

autore
25 Ottobre 2010

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