Vedere le cose in maniera nuova e diversa come solo i bambini sanno fare è spesso fonte d’ispirazione. Il difficile semmai è riuscire a trovare quella prospettiva così particolare perchè innocente e libera da condizionamenti, che solo i più piccoli riescono ad avere. A provarci con buoni risultati ad Alice nella città è l’evento speciale On dirait que/ Let’s say documentario diretto da Francoise Marie in cui un gruppo di bambini tra gli 8 e i 13 anni accantona giochi classici per cimentarsi con i mestieri dei genitori. Ne viene fuori un film originale e piacevole che la dice lunga sulla percezione che i ragazzini hanno della vita adulta. Con On dirait que, Marie, regista francese con una solida preparazione tecnica anche come cameraman, ha voluto condurre una sorta di esperimento psicologico lasciando i piccoli liberi di agire. Nulla di quello che si vede nel film infatti è stato preparato o ripetuto. In uscita in Francia il 5 dicembre, la pellicola è stata già acquistata dall’italiana Lucky Red e uscirà nel 2008.
Da dove nasce l’idea del film?
Dalla mia opera precedente Petites Histoires de Reins du Tout. Anche in quel caso i protagonisti erano bambini che giocavano ad un mestiere, quello del dottore. Si trattava di ragazzini molto malati la cui vita si alternava tra scuola, casa e ospedale. Non volevo fare un film compassionevole perché quello che mi aveva impressionato incontrandoli era la vitalità, l’intelligenza e la forza che mi trasmettevano. Così gli ho proposto di diventare dottori per un giorno. Un gioco che mi ha permesso di osservare la loro maturità, la conoscenza che avevano della propria malattia, e il loro senso dello humour.
Come mai i mestieri e perché proprio questi sette?
Volevo capire come i bambini vedono il mondo, quello che provano, quello che comprendono quando ci sentono parlare, scambiarci pareri, commerciare. Trattandosi di bambini era importante tenermi lontana dalla sfera privata, intima, perciò ho scelto dei ruoli dietro i quali potessero nascondere un po’ se stessi. I mestieri generici mi sono sembrati la soluzione migliore perchè li conoscono grazie alla tv e alla vita quotidiana.
In che modo sono stati scelti i bambini?
In quanto documentarista, l’idea del casting non mi piaceva granché. Guardando il girato però ho constatato che su otto bimbi solo la metà avevano afferrato veramente il senso del documentario. Così ho dovuto scartare gli altri.
E’ stato complicato girare con dei ragazzini? Le hanno mai dato filo da torcere?
Sono imprevedibili e spontanei e questo rende tutto bello ma anche molto impegnativo. Portare a casa una scena è sempre una sfida. Ma sono soddisfatta del risultato. Ai piccoli spettatori il film piace molto, lo seguono tutto in religioso silenzio e poi mi sommergono di domande. La più imbarazzante me l’ha fatta proprio una femminuccia: “Mi scusi, come nascono i bambini?”
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