CANNES – E’ un fatto di cronaca nera a ispirare il plot di Foxcatcher, il film di Bennet Miller con Channing Tatum e Mark Ruffalo nei panni di due fratelli campioni di lotta libera che si ritrovano ingaggiati da un magnate con turbe psichiche (un eccezionale e irriconoscibile Steve Carell, che siamo abituati a vedere in ruoli brillanti) che finisce per assassinarne uno dei due. Il fratello superstite, Mark Schultz, dopo aver vinto i campionati ha raccontato il tutto in una biografia che è stata la base per la sceneggiatura del film. “Abbiamo cercato di avere contatti con gli Schultz il più possibile – racconta il cast – ci è capitato di mangiare con loro e di parlare del triste destino di Dave. Mark è veramente una persona sensibile e speciale”.
“Mi ha allenato – dice in particolar modo il suo interprete Tatum, calatissimo nella parte complice un trucco molto ben fatto che gli inasprisce i tratti del viso – la sua presenza sul set era una cosa polarizzante e in qualche modo mi terrorizzava”. Il fratello ucciso è invece interpretato da Mark Ruffalo: “Per il mio omonimo Mark era terribile e io lo sentivo. Sostanzialmente, stava rivivendo il momento più brutto della sua vita. E’ diventato una sorta di consigliere anche per me e ho stretto molta amicizia anche con la vedova di Dave e con i bambini. Lei è una donna straordinaria”.
Più difficile il ruolo di Carell con inediti toni drammatici. John du Pont non è solo il magnate dietro all’omonima azienda chimica, ma soprattutto un uomo insoddisfatto e con un rapporto conflittuale con la madre (Vanessa Redgrave). Il suo sogno è entrare nel mondo della lotta libera e i suoi soldi glie lo permettono, anche se non ha il minimo talento. Prima finanzia la migliore squadra americana, infine addirittura la allena. “Il processo non è diverso da quello di una commedia – spiega – l’attore non si pone il problema di essere in un dramma o in una commedia. Approccia un personaggio e ne racconta la storia, semplicemente. Non ho potuto incontrare il vero du Pont, che è morto in carcere nel 2010. Ho letto il più possibile su di lui e mi sono documentato, grazie soprattutto a dei video documentari che aveva commissionato per sé e per la sua famiglia. Non capiremo mai quali demoni si portasse davvero dentro ma abbiamo cercato di renderli al meglio”. “E’ chiaramente una storia assurda e con un finale tragico – dice il regista Miller – ma iò che mi ha colpito è che ha temi universali, che riguardano il mondo dove viviamo e il nostro paese. Non è un film politico ma parla di declino. E’ come se avessimo filtrato il mondo attraverso un microscopio”.
“Si tratta fondamentalmente di capire – conclude Ruffalo – cosa accade a persone semplici e talentuose che si trovano però catapultate in un sistema dove ogni cosa, compreso il talento, ha un prezzo. Non possono dedicarsi alla loro passione senza essere comprati. Questo è il prezzo della modernità”.
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