TORINO. Non è la prima volta che si occupa di Mussolini il regista Fabrizio Laurenti, classe 1956, perché già nel 2004 ha firmato insieme a Gianfranco Norelli il documentario per Rai Tre/La Grande Storia Il segreto di Mussolini. Il segreto è il figlio non riconosciuto, Benito Albino, che il dittatore ebbe da Ida Dalser, vicenda poi ripresa da Marco Bellocchio nella tragedia personale e collettiva di Vincere. Laurenti, che è anche un regista di horror (La casa 4) e di thriller (La stanza accanto da una sceneggiatura di Pupi Avati), di serie mistery, questa volta trasferisce sul grande schermo il tema indagato dallo storico Sergio Luzzatto nel saggio “Il corpo del duce”, ora ripubblicato in edizione tascabile da Einaudi, Libro che dà anche il titolo al documentario distribuito da Cinecittà Luce, che l’ha anche prodotto in associazione con RTI/Gruppo Mediaset, e prossimamente in prima serata su Rete 4, accompagnato da un dibattito.
Un corpo quello di Mussolini che ha esercitato sia da vivo che da morto un’influenza nelle coscienze degli italiani, a conferma che il Paese ha avuto e ha con il fascismo un rapporto che non è stato mai elaborato in profondità, ma solo rimosso. “Del resto quando finisce un regime c’è sempre l’ostacolo di un corpo da eliminare per andare oltre – sottolinea Laurenti – Inoltre il concetto dell’unto del Signore noi italiani ce lo portiamo dentro, è quel rapporto con una figura carismatica dalla quale ogni tanto veniamo soggiogati, ed io ho provato a restituirlo con le immagini”.
Punto di partenza e d’arrivo del documentario Il corpo del duce è Predappio, dove Mussolini è stato sepolto definitivamente, nell’agosto 1958, dopo varie vicissitudini e dove è d’obbligo il pellegrinaggio di nostalgici e camicie nere che, benché sconfitti dalla Storia, sfilano ancora oggi in adorazione. La stima è di 50mila visitatori all’anno.
Nel mezzo vi è la storia di Mussolini da vivo, adorato mentre si esibisce a torso nudo nelle campagne per la battaglia del grano o gigioneggia tutto impettito dal balcone di palazzo Venezia, osannato dalla folla acclamante. “Il popolo italiano è politicamente omosessuale e la figura di questo maschio l’ha affascinato”, annota Piero Vivarelli, sceneggiatore da poco scomparso, ex repubblichino in gioventù poi nelle file del Pci. Anche da morto il corpo di Mussolini viene esibito, appeso a testa in giù a piazzale Loreto, laddove un anno prima erano stati fucilati 15 partigiani. Quel corpo straziato, simbolo della Resistenza vittoriosa, viene sepolto in gran segreto in una fossa anonima del cimitero Musocco di Milano, da dove nell’aprile 1946 viene trafugato da un gruppo, guidato da Domenico Leccisi, che si definisce partito fascista democratico e chiede una sepoltura più degna. Il cadavere viene recuperato dalla polizia nel convento di Sant’Angelo a 100 metri dalla questura di Milano nell’agosto 1946. La vedova Rachele chiede che la salma venga seppellita nella tomba di famiglia a Predappio, ma i vertici dello Stato scelgono di nasconderla in un luogo tenuto segreto: il convento dei frati di Cerro Maggiore. Vi rimane per oltre 11 anni quando Mussolini cadavere diventa merce di scambio per il sostegno dato dal Movimento sociale italiano al governo monocolore democristiano Zoli. E’ il 31 agosto 1957 e la salma viene finalmente tumulata nel cimitero di Predappio, luogo natale del dittatore, presenti la vedova Rachele e la figlia Edda Ciano.
Filmati e fotografie, talvolta forti, provengono per lo più dall’Archivio LUCE, come quelle inquietanti di funzionari e medici sorridenti attorno al corpo disteso del dittatore dopo l’autopsia. E dall’Archivio Centrale di Stato. “In quest’ultimo ho scoperto un faldone, per anni secretato – rivela Laurenti – con foto originali del corpo ormai mummificato di Mussolini scattate dalla Questura di Milano, all’indomani del rocambolesco rinvenimento della salma trafugata”. Insomma è la storia di un corpo che anche da morto rimane un personaggio ingombrante, perché troppi italiani lo hanno adorato da vivo.
A chi sostiene che il film possa essere frainteso, l’autore risponde che ha voluto solo raccontare come le cose sono andate, e di condividere sia le riflessioni di Pavese e Fenoglio sui corpi dei nemici sia la lettura cristologica di Luzzatto di quanto avvenuto a piazzale Loreto.
“Ho provato a vedere le ragioni del nemico, che cosa ha spinto una parte del nostro popolo ad affidarsi a questo uomo. Perché gran parte degli italiani s’innamorano perdutamente del loro capo, non solo delle sue idee ma anche del corpo. Un fenomeno che si è riproposto anni fa con la discesa in politica di Berlusconi, delle cui idee e della cui fisicità molti italiani si sono invaghiti”.
Perché come scrive Luzzatto nel libro “non si capisce questa storia d’odio se non la si capisce come storia d’amore”.
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