Fare del caos una risorsa. E’ la filosofia con cui Fluid Video Crew approda in sala, dal 28 novembre, con Italian Sud-Est. Un’opera prima passata nei Nuovi Territori di Venezia 60, frutto di un viaggio lungo i 473 chilometri della linea ferroviaria del Salento, la terra del barocco e di Carmelo Bene, luogo della mente, del cinema e del cuore, protagonista più o meno centrale di molte (SUD, Shquiperia–Albania, Lu rusciu te lu mare, tanto per citarne alcune) tra le loro circa 50 produzioni girate tra centri sociali, bande e conflitti della metropoli, immigrati e pescatori, Alaska e Norvegia, ai confini dell’Occidente e del mondo.
Dietro il nome Fluid, 4 uomini sui trent’anni: il salentino Davide Barletti e i romani Edoardo Cicchetti, Lorenzo Conte e Mattia Mariani. Nucleo flessibile, senza ruolo né gerarchie, che si è aperto alla collaborazione con Marco Saura e Caterina Tortosa, “anime narrative” di un film senza attori ma affollatissimo di storie e personaggi, in cui si intrecciano miti, favole, memorie e crudeltà del presente, elementi metafilmici, omaggi a Fellini, alle comiche del cinema muto e al western, fiction e documentario. Italian Sud–Est è prodotto da Fluid Video Crew, Amedeo Pagani e Gianluca Arcopinto, anche distributore con Pablo, con un budget di circa 70mila euro.
Perché partire dal Salento?
Perché il Salento è diventato una terra di frontiera, dimenticata fino all’inizio degli anni ’90 poi trasformata in confine dai flussi migratori. E’ una terra che fatica a riconoscersi nel nuovo, in cui convivono epoche diverse, la propensione all’accoglienza e la tendenza alla chiusura. Carmelo Bene ha detto che è una “terra nomade”, che “gira su se stessa, a vuoto”, una frase che rispecchia la circolarità del percorso del ‘nostro’ treno e anche la dimensione onirica che il film ha assorbito da questo set naturale.
La citazione di Bene apre le vostre note di regia insieme ad una frase di Fellini. Poi c’è anche Eugenio Fascetti, l’ex allenatore del Lecce…
Le citazioni sono state il punto di partenza per la scrittura del soggetto. Quella di Fascetti, che afferma “il mio Lecce gioca il casino organizzato”, si riferisce al nostro modo di girare: i personaggi del nostro film sembrano frammenti sconnessi l’uno dall’altro ma in realtà c’è uno schema di gioco.
Qual è?
Italian Sud-Est è nato dall’incontro tra i 4 della Fluid, quasi a digiuno di scrittura, l’abilità narrativa dello sceneggiatore Marco Saura, e il contributo di Caterina Tortosa. Prima di girare per 5 mesi abbiamo viaggiato sulla ferrovia del Sud-Est come radar che captano le storie di un mondo sommerso. Poi abbiamo tirato le fila raccogliendo in un trattamento i personaggi chiave del nostro Salento. Alla fine delle riprese, aperte all’imprevisto e agli umori dei personaggi e degli ambienti, ci siamo ritrovati con 140 ore di materiale, poi nel montaggio abbiamo tagliato le storie simili e diviso il film in 3 momenti. Il primo è l’era della pietra in cui compaiono personaggi legati ad elementi antichi: dall’uomo dei menhir all’artista relazionale che racconta una favola. Poi viene l’età dell’oro, quella della ferrovia, fino a 20 anni fa il mezzo di trasporto più usato in Salento. Infine c’è l’era dell’acqua in cui le contraddizioni esplodono: qui troviamo un detenuto politico, uno speculatore, l’uomo nuovo di un futuro folle, e un libanese fuggito dalla guerra. Via via i toni si fanno più cupi, dall’impalpabile leggerezza delle favole si passa alla visione di un Salento per nulla idilliaco e pacificato, in cui i vecchi costumi pesano, le menti sono ancora blindate dalla religione e la globalizzazione produce i suoi effetti negativi.
Caterina Tortosa è l’esploratrice che conduce alla scoperta del Salento. Che ruolo ha avuto nella genesi del film?
Insieme a Gigellino, l’uomo qualunque del Sud, reietto e bersaglio dei prepotenti, è l’unico personaggio che compare nei 3 momenti del film. Come quasi tutti gli altri non è un’attrice professionista ma l’abbiamo scelta perché ci piaceva l’idea che a vagare per il Salento fosse una donna in grado di stabilire un’intimità con i personaggi. Nel corso delle giornate in treno Caterina prendeva appunti poi trasformati in una serie di articoli per le pagine locali di “Repubblica”. Nella vita lei è una sociologa e ha dato vita ad una sorta di ricerca sul campo integrata con una dose di psichedelia, di inclinazione allo spaesamento e all’alterazione che appartiene a tutti noi. Ecco, forse il film è anche una strana forma di etnografia psichedelica.
Un altro confine che attraversate è quello tra fiction e documentario.
Sì. Quasi tutti i personaggi a un certo punto guardano in macchina, un espediente per mandare in corto circuito i canoni della ricezione del film e per far in modo che lo spettatore non capisca quando ha di fronte una messa in scena. A volte il nostro linguaggio, impuro, barocco, per nulla essenziale, si avvicina a quello televisivo poco apprezzato dal punto di vista etico ed estetico ma con cui, in fondo, siamo cresciuti.
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