Si muove tra Steven Spielberg e Mario Bava, mette insieme stilemi classici della fantascienza, l’animazione tradizionale, l’artigianato cinematografico e condisce il tutto con un tocco di effetti digitali.
Con Il magico Natale di Rupert Flavio Moretti, filmaker classe 1962, cartoonista e autore di corti pluripremiati, rimescola frammenti d’immaginario e punta, con ambizione smisurata, al mercato americano.
Il film, un’art.8 prodotto da Unistudio e Orione Cinematografica, è stato selezionato fuori concorso dal Giffoni e al Fantafestival.
Mette in scena la vigilia di Natale del piccolo Rupert, adolescente sopra le righe che nella soffitta della nonna scopre i prodigi di un inventore folle, scomparso durante il collaudo di una macchina del tempo.
Con uno strano marchingegno lancia segnali nello spazio: una famiglia aliena li capta e scatena una micidiale banda di piccoli extraterrestri contro il ragazzino. La fiaba low tech di Moretti arriverà in sala il 3 dicembre con l’Istituto Luce.
Quali sono le icone chiave nel tuo immaginario?
Sono cresciuto con i fumetti fantastici come I racconti di zio Tibia e la fantascienza hollywoodiana anni ’50/60. Amavo anche Mary Poppins e Pomi d’ottone e manici di scopa che mostravano l’interazione tra cartoons e attori in carne ed ossa. Adoro Roger Corman, soprattutto i film ispirati ai racconti di Edgar Allan Poe. Era un mago del low budget come Mario Bava e Antonio Margheriti. Rupert è nato grazie anche queste influenze: come tutti i miei lavori è un ibrido, frutto dell’incontro tra industria e artigianato, l’unica via per tenere i costi bassi. E’ una fiaba leggera, dallo stile inusuale per l’Italia.
Il film ha una lunga storia produttiva…
Ho cominciato le riprese nel giugno del 2000 e chiuso il film nel dicembre 2003. Il titolo originale era Il mondo di Wilbur dal nome del protagonista, un 30enne impacciato già al centro di due fortunati cortometraggi. Alla fine avevo 1500 inquadrature che seguivano uno story board dettagliatissimo. Ho curato personalmente anche le animazioni. Il film è dedicato a Pietro Sciortino, il direttore della fotografia scomparso di recente.
Raccontaci il lavoro su scenografia e la costruzione degli alieni.
Abbiamo girato nei teatri di posa Unistudio di proprietà del produttore Silvio Pedersoli. In un capannone di 800 mq abbiamo ricreato il villaggio. L’unico edificio a grandezza naturale era la casa di Rupert. Tutto il resto è stato ripreso con la tecnica della prospettiva forzata, un effetto visivo che fa sembrare gli oggetti più grandi. Io stesso ho costruito l’astronave e alcune armi aliene con i metodi usati ai tempi di Guerre Stellari cioè manipolando giocattoli, guarnizioni e fili elettrici. Dietro i terribili Drauni, i nemici di Rupert, si nascondono dei mimi che indossano armature di lattice e gommapiuma. Li ho ripresi a velocità ridotta per accelerare i movimenti.
L’intervento degli effetti digitali?
All’inizio pensavo di far tutto con truke e mascherini. Avevo persino acquistato l’attrezzatura usata per gli effetti dei primi Fantaghirò. Il digitale è venuto in seconda battuta. In origine, ad esempio, la famiglia aliena era animata in modo semplicissimo, simile a quello dei Muppet Show, ma il risultato era piuttosto rozzo così l’abbiamo ricreata in digitale.
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