VENEZIA – È molto labile il confine tra realtà e finzione nel mondo rappresentato da Keith Miller in Five Star, evento speciale delle Giornate degli Autori in collaborazione con il festival di Tribeca. Opera seconda del regista americano dopo Welcome to Pine Hill, il film infatti cattura il corpo e la vita reale di James Primo Grant, membro della gang dei Blood sin dall’infanzia, e li catapulta nel racconto della formazione alle regole della strada che impartisce a un ragazzino rimasto all’improvviso senza padre (John Diaz). Mentre, allo stesso tempo, riflette sul desiderio di cambiare vita per diventare un padre e un marito migliore.
Un non-attore, dunque, che mette in scena la sua esperienza reale drammatizzandola. “Tutto è nato dal mio incontro con Primo – racconta il regista – Avemmo una lunga conversazione in cui mi colpì molto la sua volontà di continuare a far parte della gang, ma contemporaneamente la voglia di cambiare, mettere la testa a posto. Ho scoperto poi che sullo schermo ha una forte presenza scenica, unita a grande naturalezza”. Five Star è un dramma urbano di cui le strade di Brooklyn sono protagoniste al pari dei personaggi, che compiono un emozionante percorso di formazione e introspezione indagando il rapporto mentore-allievo, o persino quello tra padre (putativo) e figlio. “Anche se ci sono un sottotesto politico – spiega Miller – e un importante contesto sociale, Five Star è soprattutto una storia su cosa significa essere un uomo”. E dal punto di vista stilistico, forse non troppo sorprendentemente, i numi tutelari di Miller non sono tanti i cineasti che hanno raccontato la vita di strada a stelle e strisce, quanto piuttosto “i Dardenne, Jia Zhang-Ke e alcuni registi rumeni, mentre per i movimenti di camera il riferimento principale è Paul Greengrass”.
"Una pellicola schietta e a tratti brutale - si legge nella motivazione - che proietta lo spettatore in un dramma spesso ignorato: quello dei bambini soldato, derubati della propria infanzia e umanità"
"Non è assolutamente un mio pensiero che non ci si possa permettere in Italia due grandi Festival Internazionali come quelli di Venezia e di Roma. Anzi credo proprio che la moltiplicazione porti a un arricchimento. Ma è chiaro che una riflessione sulla valorizzazione e sulla diversa caratterizzazione degli appuntamenti cinematografici internazionali in Italia sia doverosa. È necessario fare sistema ed esprimere quali sono le necessità di settore al fine di valorizzare il cinema a livello internazionale"
“Non possiamo permetterci di far morire Venezia. E mi chiedo se possiamo davvero permetterci due grandi festival internazionali in Italia. Non ce l’ho con il Festival di Roma, a cui auguro ogni bene, ma una riflessione è d’obbligo”. Francesca Cima lancia la provocazione. L’occasione è il tradizionale dibattito organizzato dal Sncci alla Casa del Cinema. A metà strada tra la 71° Mostra, che si è conclusa da poche settimane, e il 9° Festival di Roma, che proprio lunedì prossimo annuncerà il suo programma all'Auditorium, gli addetti ai lavori lasciano trapelare un certo pessimismo. Stemperato solo dalla indubbia soddisfazione degli autori, da Francesco Munzi e Saverio Costanzo a Ivano De Matteo, che al Lido hanno trovato un ottimo trampolino
Una precisazione di Francesca Cima
I due registi tra i protagonisti della 71a Mostra che prenderanno parte al dibattito organizzato dai critici alla Casa del Cinema il 25 settembre