Lei ha scoperto l’esistenza degli operai solo preparandosi a girare questo film, “li ho incontrati alla fabbrica Fiat di Rivalta e ho capito che ci sono ancora”. Lui invece, l’identità operaia ce l’ha nel sangue, visto che il papà lavorava in una piccola fabbrica di Perugia, “ma non ha mai fatto uno sciopero”. E’ ironico il parallelismo tra le vite reali di Valeria Solarino e Filippo Timi e i personaggi a cui prestano il volto in Signorina Effe, il film con cui Wilma Labate racconta l’anno che segna la fine del fordismo e del movimento operaio, l’agonia finale degli anni ’70 e di quello che hanno rappresentato per il paese. Quel 1980 in cui 40mila quadri e impiegati Fiat marciarono per le strade di Torino manifestando la loro opposizione allo sciopero operaio, durato 35 giorni, contro i 14mila licenziamenti decisi dall’azienda.
Nella storia che la regista ha scritto con Domenico Starnone e Carla Vangelista però, la svolta epocale è raccontata attraverso la tormentata storia d’amore tra Sergio, operaio della Fiat con una forte coscienza politica, e Emma (la “signorina F.”, per Fiat, del titolo), impiegata modello che incarna l’agognato riscatto sociale della sua famiglia di immigrati siciliani. Prodotto da Bianca Film e Rai Cinema, con il sostegno della Film Commission Torino Piemonte, Signorina Effe è interpretato anche da Fabrizio Gifuni, Fausto Paravidino, Giorgio Colangeli e Sabrina Impacciatore e, dopo esser passato al Torino Film Festival, sarà nelle sale a gennaio 2008 con 01 Distribution.
Signorina Effe si apre con una chicca: sui titoli di testa scorre uno spot Fiat del 1931 in cui una ricca signora visita affascinata con il marito uno stabilimento dell’azienda, “un video emblematico per raccontare la potenza della Fiat – ha spiegato la regista – Per l’epoca realizzare una pubblicità come questa era un vero lusso, e questo dimostrava il ruolo dell’azienda, protagonista del Paese per tutto il ‘900”. A parlarci del film è Filippo Timi, qui al suo primo ruolo da vero protagonista e a febbraio prossimo di nuovo sul grande schermo in I demoni di San Pietroburgo di Giuliano Montaldo.
Dove ha attinto le risorse per preparare il suo personaggio? E’ ispirato alla storia di un particolare operaio di quell’epoca?
Il mio ruolo è nato totalmente in sceneggiatura, non si ispira a qualcuno in particolare, ma ho attinto emotivamente alla storia di mio papà, che lavorava in una fabbrica più piccola ma che purtroppo ha vissuto molto il problema di come arrivare alla fine del mese, la paura di non farcela. E poi mi sono ispirato a un altro ‘padre putativo operaio’, il grande Gian Maria Volontè, di cui ho visto e rivisto La classe operaia va in paradiso. E’ stato bellissimo studiare come un grandissimo attore abbia affrontato un ruolo simile al mio.
I protagonisti del film sono figure emblematiche di un momento storico, ma anche persone travolte da una passione amorosa.
Infatti tutto passa attraverso la storia d’amore dell’operaio con la signorina Effe: l’aspetto storico, il risentimento, lo scontro interno tra i dipendenti della Fiat. Io ho fatto scorrere tutto questo attraverso il mio corpo, dentro la mia carne. I pensieri e le idee arrivano di più quando sono nella carne; tanto più il messaggio storico brucia, tanto più deve essere vissuto attraverso il presente.
Tutti i personaggi del film subiscono un’evoluzione piuttosto radicale, mentre l’operaio Sergio è quello che cambia in modo più sottile.
La signorina Effe cambia perché acquisisce una coscienza politica del suo lavoro, mentre lui parte già ferito. Quando incontra Emma crede che la sua ferita si possa rimarginare, ma poi capisce che non è possibile. La sua è un’involuzione piuttosto che un’evoluzione.
Lei si muove su terreni diversi come cinema, teatro e letteratura. Quale strada la convince di più?
Non escludo di voler esplorare in futuro altre strade, come lo sceneggiatore o il regista. Ma ogni volta che faccio un film e mi rivedo, mi dico che quella deve essere l’ultima volta che faccio cinema: sto male e non riesco ad accettare il fatto che non posso cambiare nulla della mia interpretazione. A teatro posso modificare ogni volta la recitazione a seconda di come sento il pubblico; il cinema, invece, è troppo definitivo. Poi però incontro delle persone e mi appassiono, come è successo quando ho incontrato Wilma Labate.
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